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lunedì 28 dicembre 2009

Garanzia beni: lo scontrino non è l’unica prova dell’acquisto

E’ tempo di regali, e non è raro tornare dal venditore di un prodotto risultato difettoso per sentirsi dire che senza scontrino il bene non è coperto da alcuna garanzia.
Al riguardo è opportuno mettere in chiaro che per usufruire della garanzia, il consumatore deve fornire la prova dell’acquisto del bene, nonché della data della relativa consegna - generalmente contestuale all’acquisto e indispensabile per la decorrenza della biennale garanzia – e che la prova principale sia costituita dallo scontrino fiscale, sostituibile, in caso di suo smarrimento, da altri documenti idonei a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale di compravendita, quali lo scontrino bancomat e la cedola della carta di credito, dai quali è comunque possibile desumere il nominativo del venditore e la data di acquisto del bene.
Qualora il venditore contesti la validità di tali documentazioni, sarà a suo carico l’onere di dimostrare il contrario, ovvero che le suddette documentazioni non si riferiscono al prodotto effettivamente venduto e riconsegnato per la garanzia.
La disciplina in materia di garanzia dei beni di consumo prevede che il difetto di conformità si manifesti entro 24 mesi dalla consegna, e riconosce al consumatore il tempo massimo di due mesi per la denuncia del difetto, a pena di decadenza, e di ventisei mesi, a pena di prescrizione, per l’esercizio dell’azione giudiziaria diretta a far valere il suddetto difetto.
I rimedi esperibili a scelta del consumatore sono la riparazione o sostituzione del bene, in entrambi i casi senza spese, salvo che il rimedio scelto non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso. La riparazione o sostituzione devono avvenire entro un termine congruo e senza arrecare notevoli inconvenienti al consumatore. Nell’ipotesi in cui tali rimedi siano impossibili o eccessivamente onerosi, ovvero il venditore non vi provveda entro il termine congruo, il consumatore può richiedere, a sua scelta, una adeguata riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.

Eccesso di velocità: il limite dipende anche dalle condizione dei luoghi e della strada

Una recente sentenza ribadisce un importante principio prendendo spunto da una multa contestata da un automobilista che attraversando un incrocio con semaforo rosso, ha eccepito la breve durata della luce gialla, pari a soli quattro secondi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25769, del 9 dicembre 2009, rilevando l’eccesso di velocità dell’automobilista che ha ricorso ai Supremi Giudici, ha ribadito che l'esistenza di un limite di velocità non giustifica il mantenimento di tale velocità anche in presenza di un'intersezione, dovendo in tal caso il conducente moderare la velocità in previsione del possibile sopravvenire del segnale di fermata. In proposito, ricorda che nel sistema delle norme sulla circolazione stradale, l'apprezzamento della velocità, in funzione dell'esigenza di stabilire se essa debba o meno considerarsi eccessiva, deve essere condotto in relazione alle condizioni dei luoghi, della strada e del traffico che vi si svolge senza che assuma decisivo rilievo persino l'eventuale osservanza dei limiti imposti, in via generale, dal codice della strada (Cass. 20173/2004). Ne consegue che i calcoli compiuti dal ricorrente per dimostrare l'insufficienza della durata di quattro secondi di accensione della luce gialla per procedere all'arresto tempestivo del veicolo sono irrilevanti perché compiuti sul presupposto che il mezzo procedesse legittimamente alla velocità di 70 km/h, velocità che, per quel che si è detto, doveva invece ritenersi del tutto inadeguata tenuto conto dell'approssimarsi dell'intersezione.

Trasporto ferroviario: adesso i passeggeri hanno maggiori diritti

A molti forse è noto che tra il popolo dei viaggiatori, quelli del trasporto aereo sono i più tutelati grazie alla disciplina di fonte europea particolarmente sensibile nel riconoscere loro un numero cospicuo di diritti. Tale differenza nei confronti degli utenti del trasporto ferroviario, però, si è notevolmente ridotta grazie al Regolamento europeo n. 1371/2007, approvato il 23 ottobre 2007 dal Parlamento europeo ed entrato in vigore adesso, che effettua una quasi completa parificazione, riconoscendo da subito agli utenti del vettore su rotaia: maggiori informazioni sulla disponibilità e reperibilità dei biglietti; responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri ed ai loro bagagli, e conseguente obbligo all’indennizzo (risarcimento fino a circa 1285 euro per ogni bagaglio smarrito o danneggiato; in caso di decesso o di gravi lesioni, anticipo immediato del risarcimento per affrontare le esigenze economiche immediate e almeno 21.000 euro per passeggero deceduto); l’obbligo per le imprese ferroviarie di essere adeguatamente assicurate ai fini della copertura delle responsabilità verso i clienti previste dallo stesso Regolamento; diritto delle persone disabili ad accedere al servizio con modalità non discriminatorie e senza costi aggiuntivi; maggiore sicurezza per i passeggeri nelle stazioni mediante la predisposizione di un adeguato servizio a questo fine destinato. A tali diritti, salvo che il singolo paese conceda una deroga di cinque anni, rinnovabile per altri cinque, il Regolamento in oggetto ne aggiunge degli altri, tra cui maggiore assistenza e rimborso dei biglietti o indennizzo in caso di ritardo pari almeno al 25% del prezzo del biglietto per ritardi da una a due ore e al 50% del prezzo del biglietto per ritardi superiori alle due ore.

martedì 22 dicembre 2009

Sinistri stradali: chi deve dimostrare cosa

In via generale e salvo eccezioni, le norme del codice della strada prevedono una presunzione di colpa a carico di tutti i soggetti coinvolti in sinistri stradali. Da ciò ne consegue, che in tali casi colui che ritiene di avere ragione deve dimostrare non solo la responsabilità dell’altro automobilista, ma pure che la propria condotta sia stata completamente aderente alle norme in materia di circolazione stradale, tale da non poter muovere alcun genere di rimprovero.
Su questo argomento, infatti, è ormai consolidato il principio giurisprudenziale per cui in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, "l'accertamento in concreto della colpa di uno dei soggetti coinvolti nel sinistro, per avere commesso un'infrazione, anche grave, al codice della strada, non esclude la presunzione di colpa concorrente dell'altro" (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 557 del 14.01.2009; Cass. 14 giugno 2006, n. 3193; 3 novembre 2004, n. 21056; 27 ottobre 2004, n. 20814; 23 febbraio 2004, n. 3549).

venerdì 18 dicembre 2009

Lavoro “nero”: il lavoratore si presume assunto dal 1° gennaio, salvo che il datore provi il contrario

In caso di lavoro irregolare scoperto dagli organi competenti, nasce il problema di accertare da quale giorno il lavoratore presti la propria opera, essendo frequente il disaccordo tra questi e il datore di lavoro.
Con sentenza n. 25236 del 30/11/2009, la Corte di Cassazione stabilisce un principio molto interessante, specificando che con pronuncia n. 144 del 2005 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale dell’art. 3, 3° comma, del d. l. n. 12/2002, convertito nella legge n. 73/2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1° gennaio dell’anno nel quale è stata elevata contestazione della violazione.
Ne discende che l’onere di provare la decorrenza del rapporto (successiva al 1° gennaio) grava sul datore di lavoro, presumendosi in difetto di prova che il rapporto decorra dal 1° gennaio (e non dal giorno dell’accertamento), e che incorre nel vizio di omessa motivazione la sentenza che nonostante la mancanza di prove annulli l’atto di irrogazione delle sanzioni.

Viaggi tutto compreso: il rapporto si estingue se il viaggiatore non può beneficiare della prestazione

Le vacanze natalizie si avvicinano, e appare opportuno ricordare cosa succede qualora il viaggiatore non possa beneficiare del pacchetto vacanza “Tutto compreso” per cause a lui non imputabili (es. malattie, lutti) .
Si premette che il contratto viaggio vacanza "tutto compreso" (cd. "pacchetto turistico" o package) previsto dal D.Lgs. n. 111 del 1995, ed ora trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 82 e segg. (cd. Codice del Consumo) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l'oggetto e la finalità, in quanto risulta dalla combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall'alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) con durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 2 e segg., ora trasfuso nell'art. 84 del Codice del Consumo).
La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono in particolare a connotare la finalità unitaria volta a realizzare, il soddisfacimento dei profili - da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso - di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali, escursionistici, ecc. ("scopo di piacere") che costituisce la causa concreta del contratto (cfr. Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 8/5/2006, n. 10490) che, da un canto, vale a qualificare il contratto, determinando l'essenzialità di tutte le attività ed i servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero, e cioè il benessere psico-fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a realizzare, da altro canto, assume rilievo quale criterio di adeguamento del contratto.
La causa concreta viene a rivestire, come non si è mancato di osservare in dottrina, decisiva rilevanza altresì in ordine alla sorte della vicenda contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto, quali ad es. l'impossibilità o l'aggravio della prestazione, l'inadempimento, ecc..
Eventi negativamente incidenti sull'interesse creditorio (nel caso, turistico) sino a farlo venire del tutto meno laddove - in base a criteri di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso - depongono per l'impossibilità della relativa realizzazione.
In tal caso, il venir meno dell'interesse creditorio determina l'estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto dell'elemento funzionale (art. 1174 c.c.).
Il venir meno dell'interesse creditorio e della causa del contratto che ne costituisce la fonte, può essere determinato anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, la quale deve essere non imputabile al creditore, incidente sull'interesse che risulta anche tacitamente obiettivato nel contratto e connotare la causa concreta.
Trattandosi di contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" (o di package) la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere tale da vanificare o rendere irrealizzabile la "finalità di vacanza", laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desiderio di allontanarsi per un po' dal coniuge o dalla cerchia degli amici o dall'ambiente di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi.
Pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999, n. 10690), il venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo "scopo di piacere" in cui si sostanzia la "finalità turistica"), implica il venir meno dell'interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore estinguendo il rapporto obbligatorio per il venir dell'interesse creditorio, e di conseguenza il contratto che dell'obbligazione costituisce la fonte per irrealizzabilità della relativa causa concreta.

giovedì 17 dicembre 2009

La decurtazione dei punti può essere oggetto d’impugnazione

In caso d’infrazione del codice della strada l’automobilista è soggetto ad una sanzione principale di carattere pecuniario, e ad una seconda di natura accessoria costituita dalla decurtazione dei punti della patente. Con una recente sentenza della Cassazione, che ha ribadito un principio già fissato dalla Corte Costituzionale nel 2005, si è sancita l’opponibilità anche della sola sanzione accessoria, che può costituire un’azione del tutto indipendente dall’opposizione avente ad oggetto la sanzione pecuniaria.
Infatti, con la sentenza n. 22235 del 21 ottobre 2009, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che in proposito le sezioni unite si sono già pronunciate con la sentenza 29 luglio 2008 n. 20544, enunciando il principio - dal quale non vi sarebbe ragione di discostarsi - secondo cui la decurtazione dei punti ha natura di sanzione amministrativa accessoria ed è pertanto anch'essa soggetta al mezzo di impugnazione dell'opposizione in sede giurisdizionale, che nel sistema sanzionatorio del codice della strada ha carattere generale, sicché l'esclusione della sua esperibilità nella materia di cui si tratta sarebbe priva di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi sanciti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Con la sentenza 21 gennaio 2005 n. 27 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 126 bis del codice della strada, nella parte in cui disponeva che la decurtazione dei punti dalla patente di guida, in caso di mancata individuazione del conducente e di omessa comunicazione della sua identità da parte del proprietario del veicolo, dovesse essere effettuata a carico di quest'ultimo.

mercoledì 16 dicembre 2009

La cartella notificata alla moglie divorziata è valida

E’ frequente che successivamente al divorzio tra gli ex coniugi cessi quasi del tutto qualunque tipo di rapporto, lasciando spazio solo ai rancori e alle reciproche recriminazioni.
L’interruzione dei rapporti, però, può lasciare in eredità alcune pendenze giuridiche che richiedono ancora un minimo di collaborazione. Tra queste vi è la notifica della cartella esattoriale a uno degli ex coniugi. Secondo l’ordinanza della Cassazione del 3 dicembre 2009, n. 25486, infatti, la cartella di pagamento notificata alla ex moglie, relativa a redditi dichiarati congiuntamente all’ex coniuge prima del divorzio, è legittima anche se la donna non ha mai ricevuto la notifica delle sentenze sfavorevoli all’ex coniuge nella causa da questi persa contro il Fisco. Secondo la Corte, in caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi, mentre i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento di imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito, la moglie (coniuge co-dichiarante) è legittimata a proporre autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti a carico del marito - cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per la coniuge - venendo altrimenti vulnerato il diritto di difesa della moglie, che rimane corresponsabile delle maggiori imposte e degli accessori relativi a quell’accertamento, e non ostando a ciò la circostanza che l’avviso di accertamento debba essere notificato al marito.
Non rileva, ai fini dell’insorgere della responsabilità solidale della moglie co-dichiarante, la notifica a quest’ultima delle sopravvenute pronunce del giudice tributario in ordine ai ricorsi proposti dal marito, nè la sopravvenuta separazione giudiziale, nè la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La concessione in sanatoria può essere impugnata dai condomini

Gli abusi edilizi di vario tipo (si pensi alle sopraelevazioni degli ultimi piani) sono particolarmente frequenti, così come le liti e le discussioni che dagli stessi possono sorgere con i condomini di uno stesso stabile. Chi è alle prese con le relative regolarizzazioni, deve fare i conti con i propri vicini di casa, in quanto con sentenza n. 7491, del 30 novembre 2009, il Cons. Stato, Sez. IV, ha statuito che in tema di concessione in sanatoria, prevista dall’art. 31 della legge n. 47/1985, sussiste la legittimazione all’impugnazione del predetto provvedimento da parte dei proprietari-condomini di appartamenti situati nel medesimo stabile sul cui lastrico solare insiste il manufatto abusivo, in quanto gli stessi si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse.

martedì 15 dicembre 2009

Responsabilità sanitaria: sussiste se il danno è conseguenza dell’omissione del sanitario, o dell’insufficienza delle apparecchiature

La professione medica è certamente tra le più complesse perché spesso chi l’esercita può garantire la sopravvivenza di un essere umano. A volte, però, il sottile confine della responsabilità del sanitario viene valicato, schiudendo le porte al diritto che si sobbarca l’onere di individuare le condizioni di punibilità delle condotte in esame.
A tal riguardo, la Cassazione civile , sez. III, con la sentenza n° 10743, dell’11.05.2009, è intervenuta su questa delicata problematica stabilendo che secondo la giurisprudenza della medesima Corte in tema di responsabilità contrattuale dei sanitari e degli enti ospedalieri, una volta dimostrata la esistenza del contratto (tra il medico e la struttura sanitaria) e l'inesatto adempimento della obbligazione sanitaria, resta a carico dei debitori della prestazione (medici) l'onere di provare l'esatto adempimento e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
Anche con riferimento alla individuazione del nesso di causalità fra la condotta omissiva del medico e l'evento dannoso, la giurisprudenza della Cassazione ha superato la concezione tradizionale, passando dal criterio della certezza degli effetti della condotta omessa a quello della probabilità di essi e dell'idoneità della condotta stessa ad evitarli, ove posta in essere.
Va rilevato che, ove le nozioni di patologia medica e di medicina legale non forniscano un grado di certezza assoluta, il ricorso al criterio della probabilità costituisce una necessità logica in quanto si tratta di accettare o rifiutare l'assunto secondo il quale il danno si è verificato a causa del fatto che non è stato tenuto il comportamento atteso.
E' appena il caso di osservare che il rigetto della domanda di risarcimento nei confronti di un medico non è sufficiente ad escludere la responsabilità del presidio ospedaliere.
E' infatti pur sempre configurabile una responsabilità autonoma e diretta della struttura ospedaliera ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (Cass. 1 luglio 2002 n. 9556, 14 luglio 2004 n. 13066, v. anche Cass. 28 novembre 2007 n. 24759).
Una responsabilità dell'ospedale può configurarsi anche nella insufficienza delle apparecchiature a disposizione per affrontare la prevedibile emergenza, ovvero nel ritardo nel trasferimento del paziente in un centro ospedaliero attrezzato.

Responsabilità del notaio e visure ipotecarie e/o catastali

La stipula di un contratto di vendita avente ad oggetto un immobile è preceduta da un lavoro “preparatorio” teso, tra l’altro, mediante le cosiddette visure catastali e ipotecarie, a verificare l’identità dell’edificio e l’eventuale presenza di oneri o pesi, come ad esempio l’ipoteca. Nell’esercizio dell’attività economica, o per altre ragioni di urgenza, l’acquirente può esonerare il notaio dalle suddette incombenze, per poi ritenerlo responsabile, qualora successivamente dovesse scoprire che proprio l’appartamento acquistato è gravato da un’ipoteca di cui ignorava l’esistenza.
Sull’argomento è intervenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25270/2009), la quale dispone che deve escludersi la sussistenza della responsabilità del notaio, ex artt. 1218 e 1176, comma 2, c.c., nel caso in cui gli sia stata richiesta la stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare privata autenticata con l’espresso esonero, per concorde volontà delle parti, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti medesime, concernenti, in particolare, il compimento delle cosiddette “visure catastali” e ipotecarie – aventi lo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà – sempre che, l’esonero sia giustificato da esigenze concrete delle parti e da ragioni di urgenza di stipula dell’atto, non rilevando, ai fini dell’esclusione della responsabilità, la circostanza che (l’esonero) non sia stato contemplato in una clausola scritta, non essendo quest’ultima necessaria per la validità e legittimità dello stesso.

lunedì 14 dicembre 2009

Sinistri stradali: la messa in mora della compagnia assicurativa è sempre obbligatoria

In caso di sinistro, qualora le parti non raggiungano un accordo, la via giudiziaria diviene inevitabile poichè entrambe ritengono di essere state danneggiate dall’altra. In siffatte ipotesi, allora, è possibile che chi viene citato (convenuto) a sua volta chieda il risarcimento danni alla controparte e alla assicurazione di quest’ultima, mediante la cosiddetta domanda riconvenzionale.
A norma dell’art. 145 del codice delle assicurazioni, prima di agire nei confronti di una compagnia assicurativa, è necessario che dalla formale messa in mora trascorrano sessanta giorni, ma la medesima non chiarisce se lo stesso termine deve intercorrere anche nell’ipotesi della domanda riconvenzionale. Ebbene, con sentenza n. 22597 del 26.10.2009, la Cassazione ha stabilito che “la condizione di proponibilità della domanda (…) opera sia nel caso di azione diretta (…) che nella ipotesi di azione di responsabilità aquiliana, a norma dell'articolo 2054 cod. civ..
Infatti detta condizione di proponibilità è posta dalla legge senza distinzione fra le persone contro cui l'azione venga proposta, cumulativamente o singolarmente.
Deve, in linea di principio, essere dichiarata improponibile anche la domanda formulata ai sensi dell'articolo 2054 cod. civ. contro il proprietario ed il conducente del veicolo, qualora non sia stata promossa oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta di risarcimento all'assicuratore r.c.a.”.

Il furto tra i conviventi è punibile

Com’è noto, le cosiddette coppie di fatto, sia etero che omosessuali, non sono oggetto di alcuna disciplina, sebbene il dibattito politico da tempo affronti infruttuosamente la problematica della loro regolamentazione giuridica.
I ritardi e le lentezze della politica e del legislatore italiano, ciononostante, non esimono i giudici dall’affrontare e risolvere problemi concreti come il furto tra i conviventi, oggetto di una recente pronuncia della Cassazione, che con la sentenza n. 44047/2009 ne ha sancito la rilevanza penale.
Infatti, sulla scorta di quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 352/2000, secondo la quale i reati contro il patrimonio non sono punibili a norma dell’art. 649, I c., nell’ambito dei rapporti di parentela, affinità, adozione e coniugo, perché sono agevolmente riscontrabili in sede anagrafica, al contrario della convivenza more uxorio il cui accertamento, in punto di fatto, è rimesso alla dichiarazione degli stessi interessati, la Cassazione - con la sentenza su citata - ha sancito che nell'ambito dei rapporti patrimoniali, la convivenza more uxorio non è sempre e comunque meccanicamente assimilabile al rapporto coniugale, mancando in essa i caratteri di certezza e di (tendenziale) stabilità propri del vincolo coniugale, essendo invece basata sull'affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile.

venerdì 4 dicembre 2009

Oneri condominiali: la quota del condomino inadempiente non grava sugli altri condomini

Può capitare che un condomino non paghi il dovuto per affrontare spese straordinarie e necessarie, come il rifacimento della facciata. E’ legittimo chiedersi, pertanto, se tale quota debba essere posta a carico degli altri condomini (obbligazione solidale), oppure no.
Proprio su questa problematica si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite, che con sentenza n. 9148, dell’8 aprile 2008, ha disposto che quando la prestazione per natura è divisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai principi. La solidarietà, infatti, raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione intrinsecamente divisibile quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la struttura divisibile (parziaria) dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse.
Ma il principio generale è valido laddove, in concreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del condebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, allo stesso tempo, indivisibile. Se invece l'obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall'art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell'obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte.
Poichè la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell'obbligazione private.
Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" - in realtà, ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la unicità della causa (eadem causa obbligandi), cioè il contratto da cui l'obbligazione ha origine. E' discutibile, invece, la unicità della prestazione (idem debitum), che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell'interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l'impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc).
Orbene, posto che nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini, queste ultime, consistendo in una somma di danaro, raffigurano una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.

Multe: effettuato il pagamento il ricorso è inammissibile

Per effetto della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative (L. n. 689 del 1981), per evitare azioni esecutive basate sull’ordinanza-ingiunzione, gli obbligati possono pagare immediatamente senza che ciò comporti acquiescenza o mancanza d’interesse ad opporsi al medesimo provvedimento. Si è posto, pertanto, il problema di appurare se questa facoltà sia riscontrabile anche nell’ambito delle sanzioni amministrative elevate in seguito alla violazione del Codice della Strada.
Sull’argomento si è soffermata la Cassazione, che con sentenza n. 13101 dell’8/06/2009, ha disposto che
il tenore letterale dell'art. 203 C.d.S., comma 1 e art. 204 bis C.d.S., comma 1 non ammetta altra lettura se non quella per cui, una volta effettuato il pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art. 202 C.d.S., comma 1 entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del verbale, id est entro il medesimo termine nel quale sono consentiti, alternativamente, i ricorsi in sede amministrativa o giurisdizionale, rimane preclusa la possibilità d'impugnare l'accertamento dell'infrazione nell'una come nell'altra sede. La ratio di tale disposizione è evidente ed analoga a quella dell'istituto dell'oblazione - beneficio che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell'art. 202 C.d.S. in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali - con la quale s'intende estinguere la specifica controversia con il versamento d'una somma di danaro, precludendo, peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di successiva contestazione in ordine ai presupposti ed alle condizioni d'applicazione della sanzione; par il che, come già evidenziato in precedenza dalla stessa Corte, la formulazione dell'art. 202 C.d.S., prevedendo, al pari della L. n. 689 del 1981, art. 16, il “pagamento in misura ridotta” corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legga da parte dell'indicato (nel processo verbale di contestazione) autore della violazione, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche a fini di deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale, anche quest'ultima esperibile immediatamente avverso i verbali di contestazione delle violazioni alle norme del Codice della Strada (Cass. 11.2.05 n. 2862).

giovedì 3 dicembre 2009

Assegno divorzile: ne ha diritto anche la moglie di giovane età

L’assegno divorzile è dovuto all’ex coniuge per garantirgli lo stesso tenore di vita goduto in vigenza del rapporto matrimoniale. Maturata la decisione di sciogliere il vincolo, lo scontro tra i coniugi si focalizza nel dimostrare l’esistenza o meno del diritto all’assegno, adducendo per questo i motivi più disparati, tra cui la giovane età dell’avente diritto, che a detta dell’obbligato gli garantirebbe la possibilità di trovarsi un lavoro e divenire autosufficiente.
La Cassazione Civile, con sentenza n. 23906 dell’11 novembre 2009, si è nuovamente soffermata proprio su questa problematica, chiarendo ancora una volta, in linea con quanto già stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 114 92 del 29 novembre 1990, che l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando innanzitutto l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021; 16 maggio 2005, n. 10210; 7 maggio 2002, n. 6541; 15 ottobre 2003, n. 15383; 15 gennaio 1998, n. 317; 3 luglio 1997, n. 5986).
L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola, pertanto, in due fasi, nella prima delle quali il Giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 (ex plurimis Cass. 12 luglio 2007, n. 15610; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040).
Quanto, poi, all'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive, tale presupposto dell'assegno comporta che detta indisponibilità non deve essere imputabile al richiedente (Cass. 17 gennaio 2002, n. 432).
Pertanto, si deve trattare d'impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio, onde l'accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza (Cass. 29 marzo 2006, n. 7117), dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico - sociale, individuale, ambientale, territoriale (Cass. 16 luglio 2004, n. 13169). Da qui la tendenziale irrilevanza della giovane età, soverchiata dall’impossibilità oggettiva di trovare un lavoro che consenta di godere dello stesso tenore di vita esistente in vigenza del rapporto matrimoniale.

Multa: mancata contestazione e successiva comunicazione obbligatoria dei dati del conducente

In seguito alla contestazione non immediata di una violazione che determini la decurtazione di punti della patente, con contestuale invito a comunicare i dati del conducente, il proprietario del veicolo può: 1) non comunica i dati del conducente (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 27/2005 non si procederà a decurtazione di punti ma si applicherà al proprietario la sanzione di cui all’art. 126 bis, n. 2); 2) comunica i dati del conducente, determinando l’apertura di una fase di contestazione ed accertamento a carico della persona indicata (il proprietario resta responsabile di eventuali false dichiarazioni); 3) risponde senza identificare il conducente, oppure dichiara di non poter fornire i dati di quest’ultimo, motivando tale omissione con l’impossibilità di accertare i movimenti dell’auto all’epoca della violazione, o adducendo altre giustificazioni (si pensi alle auto aziendali).
E’ il caso di chiarire che la mancata comunicazione dei dai dell’effettivo conducente non determina necessariamente una sanzione amministrativa, se sorretta dall’esistenza di un giustificato motivo, che in prima analisi deve essere valutato dall’amministrazione che ha elevato la contravvenzione. Qualora questa lo dovesse ritenere infondato, il proprietario sanzionato ha la facoltà di rivolgersi al Giudice di Pace il quale effettuerà una nuova valutazione del caso di specie.
Proprio su questa problematica si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n. 165/2008, la quale ha affermato che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell'illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all'esistenza di un'azione od omissione che sia "cosciente e volontaria", ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l'agente da responsabilità.
Di conseguenza bisogna discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del tutto l'invito a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, da quello di colui che, presentandosi o scrivendo, adduca invece l'esistenza di motivi idonei a giustificare l'omessa trasmissione di tali dati; pertanto deve essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l'impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella "negativa" (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione).
Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l'ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare che la scelta in favore di una interpretazione che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, presenterebbe una dubbia compatibilità con l'art. 24 Cost., non consentendo in alcun modo all'interessato di sottrarsi all'applicazione della sanzione pecuniaria, risolvendosi nella previsione di una presunzione assoluta con conseguente lesione del diritto di difesa.

mercoledì 2 dicembre 2009

Gli accertamenti del Fisco devono essere giustificati

L'art. 32, primo comma, del DPR 600/1973, attribuisce agli uffici del fisco un complesso di poteri per l’espletamento dei loro compiti. Nell’esercizio di tali facoltà, gli uffici preposti talvolta operano degli accertamenti sui titolari dei conti correnti, senza che ne ricorrano le condizioni.
Ebbene, con sentenza n. 23852/2009, la sezione TRIBUTARIA della Cassazione ha chiarito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa prevista dalla citata legge introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare dei conti correnti bancari. Ciò significa che la stessa legge ritiene certo, fino a prova contraria che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente sono riconducibili al medesimo.
La disposizione, ad ogni buon conto, non consente l'accertamento indiscriminato nei confronti di tutti coloro che abbiano intestato un conto corrente, ma attribuisce solo la facoltà di accertare il reddito del contribuente con agevolazione probatoria in favore del Fisco, poiché l'onere della prova è a carico del contribuente.
Con la citata norma, pertanto, il legislatore intende attribuire rilievo normativo a quanto si riscontra nella pratica, che spinge a supporre che le rimesse in un conto corrente di un contribuente sono normalmente derivanti dalle sue attività, eliminando, nel contempo, qualunque interpretazione distorta che possa considerare le movimentazioni bancarie attinenti a situazioni equiparabili a patrimoni separati o simili fattispecie.
Ne consegue, a detta della Cassazione, che si cade in errore normativo nel momento in cui si confondono i due piani delle condizioni che giustificano l'accertamento e la determinazione del quantum (il reddito o i ricavi); per cui deriva la necessità di dimostrare se aliunde sia legittimo l'accertamento.

I verbali dei Pubblici Ufficiali: la posizione delle Sezione Unite

Il contenuto del verbale redatto da un Pubblico Ufficiale (ad es. il vigile) ha il carattere della fede pubblica, per cui fa piena prova sino a querela di falso. Tale elemento, di per sé particolarmente importante, lo diventa ancora di più in sede giudiziaria, qualora si intende contestare le dichiarazioni che godono di tale fede privilegiata, e/o quelle che ne sono prive, e che possono essere smentite semplicemente provando il contrario, senza la necessità di sporgere querela.
L’esigenza suesposta può concretizzarsi anche in sede di opposizione a sanzione amministrativa (ad es. multa per infrazione del Codice della Strada), in merito alla quale le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 17355/2009, premettendo che il verbale è a tutti gli effetti “atto pubblico”, hanno stabilito che sono certamente da considerare al rango di piena prova: la provenienza del documento; le dichiarazioni delle parti; i fatti avvenuti in presenza del P.U.; gli atti dallo stesso compiuti.
Restano esclusi dal valore di piena prova: le valutazioni del P.U.; gli apprezzamenti personali, anche se relativi a fatti accaduti in sua presenza.
Proprio in virtù di quanto sopra, sarebbero preordinate le norme che “tipizzano” il verbale , obbligando il P.U. a esporre in forma sommaria il fatto e ad indicare gli estremi precisi e dettagliati della violazione.
Va altresì preso atto che la stessa Suprema Corte conferma l’obbligo per il P.U. di descrivere “le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, dando conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione”.

martedì 1 dicembre 2009

Il coniuge è immaturo? Il matrimonio può essere dichiarato nullo

Molti se ne saranno accorti, ma i tempi sono decisamente cambiati, e i vincoli matrimoniali si sciolgono con sempre maggiore frequenza.
Per far dichiarare nullo il matrimonio celebrato con il rito religioso e trascritto nel registro italiano dello stato civile, è possibile sia adire il giudice italiano che rivolgersi al Tribunale Ecclesiastico per ottenere una sentenza i cui effetti civili sono subordinati alla pronuncia della Corte d’Appello (sentenza di delibazione) tesa a verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge italiana.
Con sentenza n. 19808, del 15 settembre 2009, i Giudici della Cassazione hanno ribadito quanto già stabilito dalla stessa corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 19809/2008, disponendo che il riconoscimento dell'efficacia della sentenza straniera è condizionato alla mancanza di incompatibilità con l'ordine pubblico interno che è assoluta e relativa rispetto a tutti gli Stati, mentre è solo assoluta per le sentenze ecclesiastiche. Sulla base di ciò, la Cassazione ha statuito che la sentenza ecclesiastica che dichiari nullo il matrimonio per immaturità del coniuge non vìola l’ordine pubblico italiano, e dunque può essere dichiarata efficace nell’ambito del nostro ordinamento, in quanto la situazione di vizio psichico ("ob defectum discretionis iudicii") da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell'ordinamento italiano (Cass. 1988/4710; 1997/3002. In senso conforme, cfr. Cass. 1987/5822; 2000/4387; 2006/10796). E il contrasto con tali principi non si rende ravvisabile neppure sotto il profilo dei difetto di tutela dell'affidamento della controparte. Infatti, al riguardo, è sufficiente rilevare che, mentre la disciplina generale dell'incapacità naturale da rilievo, in tema di contratti, alla buona o alla mala fede dell'altra parte (art. 428 c.c., comma 2), tale aspetto si rende invece del tutto ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale vista quale causa di invalidità del matrimonio, essendo preminente, in tal caso, l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico (Cass. 1997/3002).

In caso di ricostruzione vanno rispettate le distanze imposte dal vigente piano regolatore

I proprietari di fondi confinanti sui quali non insista alcun fabbricato, sono titolari del cosiddetto diritto di prevenzione, che consente a ciascuno di essi di costruire per primo scegliendo la posizione del nuovo fabbricato tra le seguenti opzioni: confine, distanza da esso di tre metri - o quella maggiore prevista dal piano regolatore -, o della metà, costringendo così il vicino ad adattarsi alla scelta operata.
Può porsi, pertanto, il dubbio se tale diritto persista in caso di ricostruzione dell’edificio, consentendo al proprietario di collocare il nuovo manufatto nella medesima posizione, o se venga meno, imponendo al proprietario di riedificare rispettando il nuovo piano regolatore o le distanze prescritte dall’esistenza del fabbricato nel fondo confinante.
Su tale problematica, i Giudici della sez. II della Cassazione civile, con sentenza n. 2563 del 2 febbraio 2009, hanno stabilito che chi ricostruisce non può sottrarsi al rispetto delle nuove norme del regolamento edilizio che fissa determinate distanze tra le costruzioni, poiché le stesse sono poste non soltanto nell'interesse del proprietario frontista, ma anche a beneficio dell’urbanistica in generale; posto che tale problema si deve ritenere insussistente qualora sia lo stesso piano regolatore a stabilire esplicitamente il rispetto delle distanze anche in caso di ricostruzione.

lunedì 30 novembre 2009

Il condominio non ha diritto al risarcimento per i processi troppo lunghi

I condomini sono tra i luoghi in cui il tasso di litigiosità è particolarmente elevato, e non stupisce, pertanto, che siano parte di numerosi procedimenti civili, e tra le principali vittime della lentezza dei processi.
Proprio su questo argomento è di recente intervenuta la Cassazione che con sentenza n. 22558 del 22 ottobre 2009 ha escluso la legittimità attiva dell’amministratore, salvo che ricorrano determinate condizioni, chiarendo che il condominio è privo di personalità giuridica in quanto la sua unica funzione è la gestione delle cose comuni, per cui l’amministratore può agire solo in virtù della delibera assembleare, anche nella non totalità, a tutela della gestione delle stesse mentre per quanto concerne i diritti che i condomini vantano unicamente come singoli è necessario uno specifico mandato da parte di tutti condomini. Non vi è dubbio, pertanto, che il diritto all’equo indennizzo per la ragionevole durata del processo non spetti all’ente condominiale che è preposto unicamente alla gestione della cosa comune, in quanto l’eventuale patema d’animo conseguente la pendenza del processo troppo lungo incide unicamente sui condomini che quindi sono titolari uti singoli del risarcimento.

E’ reato lanciare dal balcone oggetti, acqua sporca e rifiuti

Per alcune persone è costume lanciare dal proprio balcone o dalla propria finestra oggetti, acqua sporca e/o rifiuti. Ebbene, uno di questi casi è stato esaminato dai Giudici della Sezione I della Cassazione penale, che con sentenza n. 26145 del 23 giugno 2009 ha stabilito che risponde del reato di cui all'articolo 659 del Codice Penale (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e di cui all'articolo 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose), colui che con rumori e strepiti disturbi il riposo e le occupazioni degli occupanti l'appartamento sottostante in condominio e getti nel cortile dei vicini vari oggetti, anche pericolosi, acqua sporca e rifiuti, causi rumori fortissimi e molesti provocati in ora notturna dal rotolamento sul pavimento e della collisione di grosse biglie o bocce.

venerdì 27 novembre 2009

Il diritto di sopraelevare: diritto, divieto e riconoscimenti per gli altri condomini

La costruzione di un’ulteriore unità abitativa da parte del condomino dell’ultimo piano di un edificio può essere motivo di attrito all’interno del condominio. Con una nuova sentenza, la Cassazione torna su questa problematica chiarendo alcuni aspetti.
Con sentenza n. 21629, del 12 ottobre 2009, i Giudici della Suprema Corte stabiliscono che
il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano di un edificio condominiale con le limitazioni previste dall'art. 1127 c.c. (condizioni statiche, stabilità) senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all'esercizio di tale diritto possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale di tipo contrattuale (sentenza 6/12/2000 n. 15504), e fatti valere da ciascuno dei condomini sia come tale, sia quale proprietario esclusivo di una porzione dell'edificio (sentenze 3/12/1994 n. 10397; 25/10/1988 n. 5776).
In ipotesi di sopraelevazione di edificio condominiale, i proprietari dei piani (o delle porzioni di piano) risultanti, entrano a far parte del condominio ipso facto e ipso iure e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1117 c.c., acquistano senz'altro un diritto di comunione su tutte le parti di edificio ivi menzionate, ancorchè comprese nei piani preesistenti (sentenza 11/5/1984 n. 2889).
L'indennità prevista dall'art. 1127 c.c., u.c. trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio che, ai sensi dell'art. 1118 c.c., comma 1, è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene (sentenza 16/6/2005 n. 12880).

Animali e condominio: guerra e pace!

Un motivo di litigio molto frequente nei condomini è la contestata presenza di animali domestici.
Per risolvere la prima problematica occorre accertare quanto stabilito dal regolamento di condominio, e ancora prima verificare la natura di quest’ultimo. Infatti, qualora il regolamento fosse contrattuale (adottato con l’accordo di tutti) l’eventuale clausola che vietasse di possedere animali costituirebbe un inadempimento in senso stretto che esporrebbe l’obbligato persino al risarcimento, oltre all’obbligo di allontanamento dell’animale acquistato. In caso di regolamento assembleare (adottato con le maggioranze prescritte dal codice civile) a nessun condomino (compreso colui che abbia manifestato il proprio consenso all’adozione del regolamento violato) potrebbe vietarsi il possesso di animali domestici, poiché una norma che ponesse una limitazione alla proprietà privata richiederebbe una ulteriore manifestazione di volontà, che non potrebbe desumersi da quella manifestata in sede di approvazione del regolamento medesimo (Cass. 04/12/1993, n. 12028).
L’uso dell’ascensore (bene comune) è consentito all’animale salvo che il regolamento, di qualunque natura esso sia, lo vieti. L’assenza dell’eventuale preclusione non esime il proprietario dell’animale dall’evitare che lo stesso ascensore possa sporcarsi o danneggiarsi a causa del suo animale. Resta ferma, in ogni caso, la sua responsabilità, e il correlato obbligo di risarcire l’eventuale danno.

giovedì 26 novembre 2009

L’eccesso di velocità non può essere accertato con la sola percezione del vigile

I Giudici della Suprema Corte hanno di recente affermato un principio di estrema importanza, distinguendo tra ciò che può essere rilevato dal vigile con i suoi sensi, e ciò che richiede necessariamente l’ausilio di determinati strumenti elettronici.
Con la sentenza n. 22891 del 28 ottobre 2009, la Cassazione ha accolto il ricorso di un automobilista multato perche non indossava le cinture di sicurezza e per eccesso di velocità rilevata dai sensi del vigile accertatore.
I Giudici della Cassazione hanno condiviso la sentenza del Giudice di pace che aveva dato conto analiticamente del perché la percezione dell’agente accertatore doveva ritenersi adeguata con riferimento alla accertata marcia senza fari anabbaglianti e senza cinture di sicurezza (verifiche che potevano essere fatte agevolmente e risultavano compatibili con la posizione in cui si trovava l’agente al momento dell’accertamento) e non sufficientemente adeguata quanto all’accertamento del superamento del limite prudenziale di velocità. Il Giudice di pace ha infatti chiarito che, dalla stessa descrizione dell’agente, risultavano carenti elementi oggettivi cui ancorare la valutazione operata, che in definitiva era risultata esclusivamente riferita alla sua percezione soggettiva.

Il turista che non può partire per cause gravi ha diritto al risarcimento

In vista delle prossime vacanze, pare ancora opportuno soffermarsi su alcune pronunce della Cassazione che faranno certamente piacere ai viaggiatori.
Con sentenza numero 26985 del 20 dicembre 2007, la Corte di Cassazione ha stabilito che il turista che, per colpa a lui non addebitabile, non è riuscito a partire a causa di un motivo molto serio, deve essere rimborsato. Se la causa della mancata partenza è la sua morte improvvisa ad essere rimborsata deve essere la sua famiglia. A tale conclusione i giudici della Suprema Corte sono giunti mettendo in rilievo che vi è una differenza tra i motivi futili e motivi cosiddetti serissimi (ricovero ospedaliero, morte) che impediscono la partenza. Infatti, «il venir meno dell’interesse creditorio può essere legittimamente determinato anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, qualora essa si presenti come non imputabile al creditore, nonché oggettivamente incidente sull’interesse che risulta esplicitato nel contratto: una impossibilità tale, cioè, da vanificare o rendere irrealizzabile la finalità turistica».
Devono, invece, ritenersi “non serie” «le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto, quali il desiderio di allontanarsi dalla famiglia o dalla cerchia degli amici, l’esigenza di un distacco dall’ambiente di lavoro, la necessità di riprendersi da un periodo di stress, la ricerca di avventure post-matrimoniali».

mercoledì 25 novembre 2009

Se il volo ritarda più di tre ore, la compagnia aerea deve risarcire

Il periodo delle vacanze natalizie si avvicina, ed è bene che i viaggiatori sappiano che con la sentenza n. C 402/07 e C 432/07 del 19/11/2009, la Corte di Giustizia europea estende i loro diritti riconoscendo il diritto a un indennizzo, che non esclude l’ulteriore risarcimento dei danni, qualora il volo dovesse accumulare tre o più ore di ritardo.
Premettendo che l’indennizzo in esame viene riconosciuto anche nell’ipotesi in cui i passeggeri venissero “dirottati” su un altro volo, poiché tale ipotesi integrerebbe quella di “volo cancellato” espressamente previsto dal Regolamento (CE) n. 261/2004, i Giudici della Corte europea hanno evidenziato che la circostanza che tale regolamento non disciplini espressamente l’eventuale ritardo, deve essere colmata effettuando una interpretazione della disciplina che tenga conto della ragione cui essa è ispirata, e che pertanto deve portare alla sua estensione anche alla fattispecie del ritardo che determina un indennizzo a favore del passeggero da liquidarsi secondo gli stessi criteri previsti per il volo cancellato, ovvero: euro 250 per i voli, intracomunitari o internazionali, inferiori o pari a 1.500 Km; euro 400 per i voli intracomunitari superiori a 1.500 km e per quelli internazionali trai 1.500 e i 3.500 km; euro 600 per i voli internazionali superiori a 3.500 km.

Controversie utenti – operatori telefonici: i tempi tendono a ridursi

Forse non tutti sanno che in caso di contenzioso con l’operatore telefonico è necessario esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co.Re.Com) territorialmente competente che abbia già firmato la convenzione bilaterale con l'Autorità per l'esercizio delle funzioni delegate.
Ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento di procedura per la soluzione delle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche, il Co.Re.Com territorialmente competente è quello del luogo in cui è ubicata la postazione fissa ad uso dell’utente finale ovvero, negli altri casi, al domicilio indicato al momento della conclusione dl contratto o, in mancanza, la residenza o la sede legale dell’utenza.
Ad oggi i Co.Re.Com che hanno firmato la convenzione bilaterale con l'Autorità e sono pertanto abilitati all'esercizio delle funzioni delegate sono quelli delle regioni di seguito indicate:
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Val d'Aosta, Veneto, Provincia autonoma di Trento e di Bolzano
Gli utenti hanno, altresì, la facoltà di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, e sono tenuti a farlo nel caso in cui il Co.Re.Com. territorialmente competente non rientri tra quelli provvisti di delega, presso, tra l’altro, le Camere di Commercio.
Ebbene, per accelerare tale procedura, con Deliberazione 14/09/2009, n. 479, l’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (AGCOM) ha disposto che: venga preferito lo scambio di comunicazioni in via telematica o a mezzo telefax; il ricorso alla convocazione delle parti in udienza non sia piu' obbligatorio; in caso di controversie di modico valore, la cui definizione e' delegata al direttore della struttura, sia eliminata la pubblicazione sul bollettino ufficiale dell'Autorita'.
Piccoli cambiamenti che rendono un po’ più celere una delicata e spesso decisiva fase del contenzioso.

martedì 24 novembre 2009

Bar rumoroso? Per farlo chiudere prima è sufficiente l’esposto di una sola famiglia

Il TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, con la sentenza n. 1814 del 2 novembre 2009 ha disposto la legittimità dell’ordinanza che impone la chiusura anticipata di un bar – in attesa dell’adozione delle misure idonee a riportare la rumorosità nei limiti di legge – la cui attività sia fonte dell’inquinamento acustico, poichè “il superamento dei limiti di legge, in materia di inquinamento acustico, implica automaticamente la sussistenza di una situazione di rischio per la salute pubblica che i soggetti preposti al controllo sono tenuti a rimuovere attraverso l’unico mezzo a disposizione rappresentato, per l’appunto, dall’ordinanza ai sensi dell’art. 9 della legge 447/95. La motivazione espressa per relationem al verbale dei rilievi fonometrici operati dall’USL appare, quindi, del tutto sufficiente ad integrare il rispetto dell’obbligo di legge […] sono numerose le pronunce in cui si mette in luce come l'art. 9 della legge 447/1995 (ordinanza sindacale) rappresenti per così dire l'ordinario rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 8.6.2006, n. 3340 e sez. I, 24.1.2006, n. 488, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819)”.

Il venditore del pacchetto turistico è responsabile dei danni subiti dal viaggiatore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24044 del 2009 del 13/11/2009, si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità del tour operator in caso di danni subiti dal viaggiatore stabilendo che l’organizzatore o venditore di un pacchetto turistico, secondo quanto stabilito nell'art. 14 del d.lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE ed applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (come il vettore, ad esempio), salvo il diritto a rivalersi nei confronti di questi ultimi (nello stesso senso anche Cass. n. 5531/2008).
Con la stessa pronuncia la Suprema Corte ha condiviso la tesi sostenuta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26972 del 2008, ribadendo che il danno non patrimoniale è risarcibile quando deriva da un fatto illecito, ma anche quando trae origine da un inadempimento contrattuale, poiché costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio insuscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.

lunedì 23 novembre 2009

Cassonetto in mezzo alla strada? Il Comune risarcisce i danni subiti dagli utenti della strada

Capita sovente di incappare con il proprio mezzo in un cassonetto dei rifiuti che intralcia la circolazione stradale.
Ebbene, con sentenza n. 16374 del 14 luglio 2009, la Cassazione ha ritenuto responsabile il Comune per i danni subiti da un centauro che si era scontrato contro un cassonetto mal collocato su un tratto di strada di pertinenza comunale.
Respingendo l’eccezione di incompetenza - sollevata dal Comune - sulla strada interessata, con l’argomentazione che i tratti interni di strade provinciali (così come per quelle statali o regionali) che passano all’interno del centro abitato sono di proprietà del Comune quando la popolazione di quest’ultimo supera i diecimila abitanti, la Cassazione ha ritenuto sussistente la responsabilità extracontrattuale a norma dell’art. 2043, c. c., poiché il Cds impone all’ente titolare dell’infrastruttura di vigilare anche sulle pertinenze della sede stradale e su attrezzature, impianti e servizi; aggiungendo che il cassonetto dei rifiuti in mezzo alla strada è un pericolo che tuttavia può facilmente essere eliminato con un intervento immediato.

Se viaggia in due sul ciclomotore, il conducente è corresponsabile dell’incidente

Con la sentenza n. 22662, del 9 settembre 2008, la Corte di Cassazione ha ritenuto corresponsabile il conducente di un motorino - sul quale viaggiavano due persone – investito da un’automobile che non rispettava la precedenza, sul presupposto che «sembra innegabile il fatto che il trasporto di un passeggero sul ciclomotore comporti necessariamente una maggiore instabilità del veicolo sia in relazione alla tenuta di marcia che con riferimento all'eventuale necessità di eseguire una manovra di emergenza, con conseguente maggiore esposizione alle conseguenze negative di un impatto violento con altro veicolo».
Sulla base di questa sentenza, è facile prevedere che in caso di sinistro che veda coinvolti un automobilista e un centauro, spetterà comunque ai giudici stabilire chi tra i due abbia ragione, sebbene il primo infranga un precetto del codice della strada, e il secondo viaggi con un’altra persona.

venerdì 20 novembre 2009

La banca risponde anche del danno causato dal promotore

Con sentenza n. 13529 dell’11 giugno 2009, la terza sezione della Cassazione ha ribadito un principio di estrema importanza, soprattutto in un momento particolarmente delicato come quello in corso, durante il quale i listini delle borse internazionali hanno mostrato una estrema volatilità.
Secondo i Supremi Giudici, infatti, «la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale, richiede - ai fini della sussistenza della responsabilità di detta società, un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze affidate e fatto del promotore, rapporto che, peraltro, è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio.
Nonostante la “colpa del cliente” che all'atto della richiesta di disinvestimento delle somme di sua pertinenza chiede che le somme medesime vengano contestualmente versate sul conto personale del promotore, resta il fatto che l’intermediario si era sottratto alle rigorose regole concernenti le modalità di affidamento all'intermediario dei capitali da investire, espressamente indicate nelle proposte di sottoscrizione di valori mobiliari, così violando i più elementari oneri di cooperazione nel compimento dell'attività di investimento tramite intermediazione (e così inevitabilmente concorrendo nel cagionare il danno poi lamentato), attesane, oltretutto, la (indiscussa) qualità di soggetto perfettamente a conoscenza (per personale e pluriennale esperienza) del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento delle incombenze di cui è investito».

L’A.S.L. è responsabile delle aggressioni dei cani randagi

Qualora le Regioni affidino la lotta al randagismo alle A.S.L., queste, e non il Comune, sono obbligate a risarcire i danni provocati dalle aggressioni dei cani randagi.
Infatti, sul presupposto che le A.S.L. costituiscono strutture dipendenti dalla regione, e strumentali per l’erogazione di servizi sanitari di competenza regionale, con sentenza n. 8137 del 3 aprile 2009, i giudici della Cassazione hanno stabilito che «per omessa vigilanza sui cani randagi, la legittimazione passiva spetta all’azienda sanitaria locale, succeduta alla Usl, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento».

giovedì 19 novembre 2009

Voli annullati: decide il giudice del luogo di partenza o arrivo

In materie di controversie nascenti dall’inadempimento di obbligazioni contrattuali aventi per oggetto il trasporto aereo internazionale, con sentenza n. C. 204/08 depositata il 9 luglio 2009, la Corte europea di Giustizia ha stabilito che il giudice competente è quello del luogo di partenza o di arrivo, in caso di volo effettuato tramite un unico vettore, a scelta di chi adisce l’autorità Giudiziaria.
I giudici “europei” hanno motivato detta decisione chiarendo che a norma del regolamento n. 44/2001, art. 5, punto 1, lett. b), che disciplina il contratto di compravendita di beni, il collegamento più stretto tra il contratto in causa e il giudice competente - in caso di pluralità dei luoghi di fornitura dei servizi in diversi Stati membri - avviene nel luogo in cui vi è la fornitura principale dei servizi. Nel caso del trasporto aereo detti servizi, quali l’identificazione del passeggero, l’imbarco, lo sbarco, la consegna dei bagagli, avviene sia nel luogo di partenza che in quello d’arrivo.
Alla luce di quanto sopradetto in caso di trasporto aereo di persone da uno Stato membro all’altro, effettuato sul fondamento di un contratto concluso con un’unica compagnia aerea che è il vettore operativo, il tribunale competente a conoscere di una richiesta di compensazione pecuniaria basata su tale contratto di trasporto e sul regolamento n. 261/2004 è quello, a scelta dell’attore, nella cui circoscrizione si trovano il luogo di partenza o il luogo di arrivo dell’aereo quali indicati in detto contratto.

Se il fisco sbaglia paga i danni

Con sentenza n. 4622 del 26 febbraio 2009, la Cassazione ha stabilito un principio che determina la rivincita del contribuente nei confronti del fisco, stabilendo che il primo – oltre ad impugnare gli atti errati dell’ufficio delle imposte - può adire l’Autorità giudiziaria ordinaria per chiedere il risarcimento dei danni subiti per aver chiesto la consulenza di un professionista circa gli effetti dell’atto poi dichiarato innocuo dall’amministrazione finanziaria, poiché l’ufficio delle imposte non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi perché si astato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente.

Il gestore dei parcheggi risponde dei danni subiti dalla macchina

Il gestore del parcheggio incustodito è responsabile dei danni subiti dalla macchina ad esso affidata, anche se espone il cartello con il quale avvisa gli utenti di non rispondere di eventuali furti o danneggiamenti.
Con la sentenza n. 1957 del 27 gennaio 2009, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha condannato l’azienda trasporti di Milano a risarcire il danno subito da un automobilista a causa del furto della propria autovettura avvenuto in un parcheggio a pagamento gestito dalla medesima società.
Secondo i Supremi Giudici, infatti, il contratto che si stipula con il gestore del parcheggio è assimilabile a quello di deposito che pone a carico del concessionario l’onere di custodire il bene nel momento in cui dall’automobilista incassa la tariffa stabilita, anche mediante l’introduzione di moneta nell’apposito meccanismo, in quanto il dovere di custodia può essere surrogato da «sistemi complementari automatizzati per la procedura di ingresso e di uscita dei veicoli attraverso l’uso di schede o biglietti magnetici».

mercoledì 18 novembre 2009

TV a pagamento, telefonia e internet: disdetta in 30 giorni e senza oneri impropri

Con la legge n. 40/2007 (cosiddetto decreto “Bersani-bis”), i contratti di telefonia, pay tv e internet possono essere oggetto di recesso con un preavviso di 30 giorni, senza sopportare alcun onere che non sia il semplice rimborso delle spese sostenuto dalla società fornitrice del servizio per il definitivo distacco o il semplice passaggio a un altro operatore.
Nell’esplicitare i suddetti principi, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 484/08/Cons, ha ribadito che l'esercizio di recesso non deve in alcun modo essere gravato da oneri impropri, definendo “pertinenti" solo quei costi che risultino basati su valutazioni oggettive e imparziali e calcolati secondo rigidi criteri di causalità e strumentalità, mentre con le delibere n. 96/07/Cons e la n. 126/07/Cons, ha fissato in via regolamentare le modalità di attuazione dei principi di trasparenza e corretta informazione delle condizioni contrattuali riservate agli utenti.

Per gli infortuni sul lavoro è responsabile anche il subappaltatore

Sebbene il committente abbia nominato un responsabile della sicurezza, con il compito di coordinare tutte le imprese che operano nel cantiere, il subappaltatore resta responsabile della sicurezza dei propri operai, in quanto tale nomina non esonera il datore di lavoro dal controllare l'adozione delle misure di sicurezza, come si evince dall'art. 9, lettere a) e b), D.Lgs. n. 494/1996 (adesso art. 96, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008), ciò perché il datore di lavoro è il soggetto in via primaria onerato degli obblighi di prevenzione e di sicurezza, a cui si aggiunge, senza alcuna estromissione, la responsabilità del committente […] in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, all'obbligo della osservanza delle norme di legge sono tenuti tutti coloro che esercitano tali lavori, quindi anche il subappaltatore, che ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, ancorché la sua attività si svolga concomitantemente ad altra, prestata da altri soggetti, né egli può esimersi da responsabilità facendo affidamento sull'opera preventiva di questi ultimi”. Nella materia di cui ci si occupa e nella quella sono in gioco valori primari come la vita e l'integrità fisica dei lavoratori, il principio d'affidamento va contemperato con il principio di salvaguardia degli interessi del lavoratore ‘garantito’ dal rispetto della normativa antinfortunistica”.
Se ne deduce che “il datore di lavoro, garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare i rischi ed a prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui”, e che, “in ragione dei ricordati principi, il subappaltatore non perde la sua posizione di garanzia, anche se nel cantiere ove si trovi a lavorare sia operante l'appaltatore ed un rappresentante del committente”.

Ostacolo sull’autostrada. L’onere della prova è a carico del concessionario

Un rischio che si può correre, e che talvolta si concretizza, è quello di colpire un ostacolo che inspiegabilmente si trova in mezzo alla carreggiata di un’autostrada, arrecando notevoli danni al mezzo sul quale si viaggia.
Su questa fattispecie, con sentenza n. 10689 del 24 aprile 2008, si è pronunciata la Corte di Cassazione, mettendo in evidenza che «nelle autostrade con pedaggio, il rapporto che si instaura fra l’ente proprietario o concessionario e l’utente ha natura contrattuale, sicché la presenza di un ostacolo sulla carreggiata va configurato come inadempimento (di garantire la sicurezza) la cui non imputabilità va provata dall’obbligato (il concessionario che fornisce il servizio) ex art. 1218 c.c.. La stessa Corte ha ulteriormente chiarito che alla medesima conclusione si perverrebbe ove il titolo dedotto fosse extracontrattuale, in quanto troverebbe applicazione l’art. 2051 c.c., attesa la possibilità della vigilanza da parte dell’ente proprietario o del soggetto concessionario dell’autostrada».
Adesso gli automobilisti hanno un’arma in più contro i concessionari delle autostrade.

Il Comune che interrompe l’erogazione dell’acqua paga i danni

Con sentenza n. 3539 del 14 febbraio 2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno esplicitato un principio di estrema importanza, disponendo che l’ente locale è tenuto al risarcimento dei danni quando, nonostante il pagamento del consumo, ha interrotto il servizio. Il privato, a cui si riferisce l’utenza, è titolare di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo che lo legittima a richiedere il risarcimento del danno al giudice ordinario, e non a quello amministrativo, poiché tale materia non rientrano nell’elenco delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo (art. 33, D.lgs. n. 80/2008), in quanto «il rapporto che si instaura tra il comune ed il privato, relativamente all’erogazione dell’acqua potabile, è di natura privatistica».

Anche se la madre è casalinga, al padre spetta il riposo

Con la discussa circolare n. 112/2009, l’Inps subordinava i riposi giornalieri del padre, soprannominati per allattamento, a un complesso di limiti (come ad es. quali accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi) ed oneri anche documentali, sebbene non esistesse norma alcuna che lasciasse spazio a siffatta interpretazione.
A chiarire meglio i termini del problema ci ha pensato il Consiglio di Stato, mettendo in evidenza che l’art. 40, lettera c) del D.Lgs. n. 151/2001 (che disciplina il riposo in esame) è quella di beneficiare il padre dei permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato.
A tacer d’altro, appare singolare che lo stesso I.N.P.S., con circolare n. 109/2000, nel pieno rispetto della ratio chiarita dal Consiglio di Stato, non richiedeva alcuna documentazione alle madri che svolgevano un lavoro autonomo o dipendente.
Per evitare un’evidente disparità, si ripete, non supportata da alcuna norma, , con circolare n. 112/2009, il Ministero del Lavoro ha modificato la suindicata circolare dell’I.N.P.S., dando una lettura dell’art. 40 lettera c) del D.Lgs. n. 151/2001, che si colloca nello stesso solco della citata sentenza del Consiglio di Stato.

Se l’automobile della polizia è priva di insegna, la multa è annullabile

Con il parere n. 75730, il Ministero dei Trasporti ha fatto sapere che le multe elevate con l’autovelox collocato sull’automobile della polizia priva dell’apposito cartello richiesto dalla legge sono annullabili anche se la postazione è stata segnalata, in quanto tale condotta può essere ritenuta illegittima in sede di ricorso perché limiterebbe la piena visibilità della postazione di controllo richiesta dalla legge n. 160/2007.
Con il parere n. 75753, invece, lo stesso Ministero, in materia di autorizzazione prefettizia in caso di utilizzo dell’autovelox in alcune strade senza l’intervento degli operatori, precisa che in virtù dell’art. 4 del d.l. n. 121/2002, convertito con modificazioni, dalla l. n. 168/2002, il prefetto conserva la competenza per l'individuazione dei tratti di strada sui quali, utilizzando apposite apparecchiature, si può procedere ad accertamenti senza l’obbligo di contestazione immediata. Tale autorizzazione non è necessaria per i normali controlli con il fermo dei veicoli, svolti direttamente dalla polizia stradale, su qualsiasi tipo di strada.
Ne consegue l’illegittimità delle multe rilevate dai sistemi automatici senza l’assistenza degli operatori nelle strade non individuate da apposito provvedimento prefettizio.

martedì 17 novembre 2009

Vendite a distanza: il consumatore non può essere costretto a pagare un’indennità di uso.

Gli acquisti a distanza, in passato con le televendite oggi con internet, sono all’ordine del giorno, e per questo è bene che il consumatore venga a conoscenza di un’importante decisione della Corte di Giustizia europea, che si è pronunciata sulla legittimità della clausola che pone a carico dell’acquirente un’indennità per l’uso del bene, qualora venga esercitato il diritto di recesso.
Con la sentenza n. C-489/2007 depositata il 3 settembre 2009, infatti, i giudici della Corte europea hanno inteso aumentare la tutela a favore dei consumatori nei contratti a distanza, chiarendo che il diritto di recesso «è stato previsto proprio per consentire al consumatore di meditare sull’acquisto e di ripensarci, dopo averlo ricevuto, senza alcun onere. Di conseguenza, proprio per garantire che il recesso non abbia un mero carattere formale la direttiva si limita a prevedere che al consumatore vengano addossate le sole spese di spedizione relative alla restituzione della merce. Questo perché chi acquista a distanza si trova in una situazione di svantaggio in quanto non può visionare la merce e quindi il diritto di recesso deve essere garantito nel modo più ampio possibile, senza oneri economici che ne compromettano la funzionalità e l’effettività».
L’unico caso in cui è ammissibile che al consumatore sia addossata un’indennità, si verifica qualora l’uso del bene sia fatto in violazione dei criteri di buona fede, correttezza e arricchimento senza causa, sempreché la stessa indennità non sia sproporzionata.

Gli eredi accedono gratuitamente al conto corrente del defunto

L’art. 119 del Testo Unico Bancario prevede che «il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».
Qualora gli eredi dovessero presentare una richiesta di accesso a norma dell’art 7 del codice della privacy, la Banca non ha l'obbligo di esibire copia di ogni documento contenente i dati personali dell'interessato, in quanto l’art. 10 del Codice della privacy prevede, per garantire l’effettivo esercizio dei diritti di cui all’art. 7, che il titolare del trattamento (la Banca) adotti misure idonee ad agevolare l'accesso ai dati personali da parte dell'interessato, anche attraverso l'impiego di appositi programmi per elaboratore finalizzati ad un'accurata selezione dei dati che riguardano singoli interessati identificati o identificabili. La Banca, pertanto, dovrebbe fornire copia degli estratti conto e dei documenti contabili ai familiari del defunto imputando i costi dell’operazione ai richiedenti.
Con decisione n. 1541439, il Garante della privacy ha ricordato che i parenti del familiare defunto sono legittimati a esercitare gratuitamente e senza l’applicazione delle commissioni bancarie il diritto di accesso ai dati personali dello stesso ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del Codice della privacy che prevede che «i diritti di cui all’articolo 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione».

L’avviso di multa lasciato dal vigile sul parabrezza non ha valore

Con il parere n. 24605/2008, il Ministero dei trasporti ha precisato che la contestazione non immediata dell’infrazione è ammessa dal Codice della Strada nell’ipotesi in cui l’accertamento avvenga in assenza del trasgressore e del proprietario del veicolo e che la notifica del verbale deve comunque avvenire secondo le modalità disciplinate dall’art. 385 del Regolamento.
Ne consegue che l'avviso di infrazione lasciato dal vigile sul cruscotto dell’auto in divieto di sosta, in quanto procedura informale, non contemplata dal Codice e dal connesso Regolamento, non produce alcun effetto e non può essere nemmeno oggetto di ricorso nell’ipotesi di difformità con il successivo verbale, per cui non rileva la eventuale difformità delle contestazioni contenute nel verbale, rispetto a quelle contenute nell'avviso di infrazione, in quanto il ricorso non può che essere opposto nei confronti delle risultanze del verbale, che deve necessariamente essere notificato con le modalità di rito.

lunedì 16 novembre 2009

I fabbricati rurali non sono soggetti all’I.C.I..

L’assoggettabilità dei fabbricati rurali al pagamento deIl’I.C.I. è stata motivo di parecchie controversie tra contribuenti e Comuni, decise dalla Cassazione con sentenze non sempre univoche a causa dell’assenza di una norma che espressamente li esentasse. La presunta esclusione, infatti, era frutto di un’interpretazione non supportata esplicitamente dalla lettera della legge. La Suprema Corte è di recente tornata su questo argomento, alla luce di una nuova legge, l’art. 23, comma I bis, D.L. n. 207/2008,convertito con modificazioni dalla L. N. 14/2009, che a detta dei giudici della stessa Cassazione opererebbe un’interpretazione autentica delle norme che regolamentano la materia, sancendo che l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale (cat. A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta ai sensi della citata legge, che ha efficacia retroattiva. L’attribuzione dell’immobile a una diversa categoria deve essere impugnata dal contribuente che pretenda la non soggezione dell’immobile all’imposta, essendone altrimenti assoggettato. Per gli immobili non iscritti al catasto l’esenzione è subordinata all’accertamento dei requisiti richiesti per l’iscrizione nella categoria della ruralità del fabbricato, che può essere condotto dal giudice tributario investito dalla domanda di rimborso.

Quando i beni acquistati dal coniuge cadono in comunione legale dei beni

Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni che determina la comproprietà tra i coniugi di tutti i beni da essi acquistati singolarmente o insieme, salvo le eccezioni previste dalla legge (artt.177 e 179 c.c.).
Le obbligazioni contratte da entrambi i coniugi per effetto dell’ordinaria e/o straordinaria amministrazione gravano sui beni della comunione e, in via sussidiaria, su quelli personali di ciascuno dei coniugi nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti (art. 190, c.c.).
Relativamente alle obbligazioni contratte da un solo coniuge si pone la necessità di distinguere tra amministrazione ordinaria e straordinaria, con la precisazione che, sebbene per entrambe valga il principio suesposto, in caso di atti di amministrazione straordinaria compiuti da uno dei due coniugi, l’altro ha il potere di chiedere o l’annullamento dell’atto stesso entro un anno dal suo compimento, o il ripristino della comunione nello stato in cui si trovava prima che l’atto fosse compiuto.
Ne consegue che se un coniuge da solo acquista un bene di consumo come un qualunque elettrodomestico, questo cade in comunione e il relativo prezzo deve essere pagato da entrambi i coniugi poiché l’obbligazione grava sulla comunione legale e solo in via sussidiaria, sui beni personali di ciascun di essi nei limiti di cui al citato art.190 c.c.(Cass. 7/7/1995 n.7501; Cass. 8/1/1998, n. 87).

sabato 14 novembre 2009

Spese dell’amministratore non preventivamente autorizzate dall’assemblea condominiale

In via generale l’amministratore del condominio che sopporti oneri per l’esecuzione di lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione deve essere previamente autorizzato dall’assemblea condominiale, salvo che si tratti di lavori urgenti, che non ammettano dilazione nel tempo. Su questa problematica è intervenuta una nuova sentenza della Cassazione la quale ha chiarito che l'assemblea può riconoscere vantaggiosa l'opera e la relativa spesa decisa dall’amministratore senza la sua preventiva autorizzazione, ancorché non indifferibile ed urgente, e approvarla purché oggettivamente utile per il condominio e non voluttuaria né gravosa, restando la preventiva formale deliberazione di esecuzione dell'opera utilmente surrogata dall'approvazione del consuntivo della stessa e dalla conseguente ripartizione del relativo importo tra i condomini (Cass., n. 18192/2009).

venerdì 13 novembre 2009

Vendita dell’immobile e pagamento della rata condominiale

Un motivo di dissidio molto frequente nella prassi, è chi debba pagare le rate del condominio relative a spese già deliberate dall’assemblea condominiale in caso di vendita dell’immobile. Una recente sentenza della Cassazione è tornata sulla problematica ribadendo ancora una volta quanto sostenuto anche in tempi molti recenti (Cass., n. 23345/08), chiarendo ancora una volta che perfezionatosi il trasferimento della proprietà dell'immobile, l'alienante perde la qualità di condomino e poiché l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali è collegato al rapporto di natura reale che lega l'obbligato alla proprietà dell'immobile, alla perdita di quella qualità consegue che non possa essere chiesto né emesso nei suoi confronti il decreto ingiuntivo (Cass. n. 23686/2009).
Tale nuovo arresto giurisprudenziale, tuttavia, merita alcuni chiarimenti. La fattispecie concreta cui si riferisce la sentenza citata si caratterizzava per il fatto che il contratto di compravendita era stato perfezionato in data 27/05/2002 e trascritto due giorni dopo, mentre la delibera condominiale che approvava le spese per le quali era stato emesso il decreto ingiuntivo era stata adottata il giorno successivo alla vendita, ovvero il 28/05/2002, cioè dopo che l’acquirente dell’appartamento era divenuto “condomino” di quel determinato edificio.
Questo particolare è di estrema rilevanza, e differenzia l’ipotesi in cui il subentro del nuovo condomino avvenga dopo la delibera assembleare e prima che le rate siano pagate dal venditore dell’immobile. In quest’ultima ipotesi, infatti, trova applicazione l’art. 63, disp. att., c. c., il quale statuisce che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Ausiliari del traffico e legittimità delle multe da essi rilevate

Al di là delle ragioni che hanno spinto la loro introduzione sulle strade italiane, gli ”ausiliari del traffico” oggi sono una realtà con la quale bisogna fare i conti, e pertanto appare opportuno comprendere le condizioni che rendono legittime le multe da essi elevate agli automobilisti. Anche questa, infatti, rappresenta una vexata questio che ha coinvolto con sempre maggiore frequenza i giudici della Suprema Corte, i quali si sono persino pronunciati a Sezioni Unite il 9 marzo 2009, stabilendo che le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell’area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu).
Sull’argomento la Cassazione è tornata con la sentenza n. 22676, emessa il 27 ottobre 2009, ribadendo che i c.d. vigilini (gli ausiliari del traffico) possono sanzionare gli automobilisti “indisciplinati” che parcheggiano in divieto di sosta le proprie autovetture nelle strade pubbliche, anche fuori dalle famigerate “strisce blu”, solo se dipendenti comunali. I limiti di competenza sono valide solamente per coloro che si trovano alle dipendenze delle società concessionarie, i quali possono rilevare le infrazioni esclusivamente nelle zone blu e in quelle limitrofe di stretta pertinenza (che impediscono il parcheggio nella zona blu impedendo la riscossione del relativo ticket), e per gli ispettori del trasporto pubblico legittimati a rilevare multe nelle corsie preferenziali dei mezzi pubblici.

giovedì 12 novembre 2009

Processo troppo lungo? Risarcimento in quattro mesi!

Com’è noto, il male per definizione della giustizia italiana è la lunghezza dei processi! Forse non tutti sanno che grazie alla L. 24 marzo 2001, n. 89 (Legge Pinto), per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’eccessiva lunghezza del processo non è più necessario rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea con sede in Strasburgo, ma è sufficiente presentare un ricorso presso la Corte d’Appello, la quale entro quattro mesi emette un decreto provvisoriamente esecutivo e ricorribile in Cassazione.
Appare opportuno mettere subito in rilievo che il danno (non patrimoniale) in esame non deve essere provato, in quanto esso è conseguenza normale – anche se non automatica - della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicché, pur dovendo escludersi l’automaticità è necessariamente insito nell’accertamento della violazione, per cui il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenerlo sussistente, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cassazione Sezioni Unite, n. 1338/2004; Cass. n.402/2009)
La condizione per ottenere il risarcimento suddetto è la violazione della ragionevole durata dei processi (art. 2, comma I, L n. 89/2001), da valutare in relazione alla complessita' del caso, e, in funzione di quest’ultima, del comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonche' quello di ogni altra autorita' chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione (art. 2, comma II, L. n. 89/2001).
Poiché la legge non indica termini, anche i giudici italiani hanno fatto proprio il sistema adottato dalla Corte europea che considera ragionevole un processo il cui primo grado duri tre anni, il secondo due, e quello di legittimità (Cassazione) tre.
Se il processo nel suo complesso, o un singolo grado di esso, dovesse superare i suddetti limiti, entrambe le parti (attore e convenuto) sono legittimate a chiedere e ottenere il risarcimento danni, con buona pace del lento sistema giudiziario italiano!

mercoledì 11 novembre 2009

Photored: La multa è legittima in presenza di un vigile o con lo scatto di almeno due foto

Come molti sapranno il Photored è un dispositivo collocato in prossimità dei semafori in grado di rilevare automaticamente il passaggio con il rosso. Quasi tutti gli automobilisti si saranno chiesti se v'è il rischio che venga rilevata un'infrazione qualora si superi il semaforo con il verde e al momento dell’accensione del rosso si dovesse restare imbottigliati nel traffico. Sull’argomento è intervenuta un’interessante sentenza della Cassazione che ha sostenuto la necessità della immediata contestazione dell’infrazione, e dunque la presenza del vigile, qualora il dispositivo dovesse scattare una solo foto, facendo permanere, così, lo stato d’incertezza sull’effettivo passaggio con il semaforo rosso. Incertezza che verrebbe meno solo se tale circostanza fosse accertata con una doppia foto che verifichi la posizione del veicolo sia con il verde che con il rosso, o con la presenza di un vigile che soprintenda tutte le suddette fasi (Cass. Sentenza n. 7388/2009).

Condizione per la risoluzione del contratto di vendita in caso di bene difettoso o privo delle qualità promesse

Un’ipotesi particolarmente frequente nel commercio, è l’acquisto di beni affetti da vizi o privi delle qualità promesse dal venditore. In entrambi i casi è possibile esperire l’azione di risoluzione del contratto, ma in presenza di condizioni diverse. Come ha ulteriormente chiarito la Cassazione con una recente sentenza, per l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di compravendita per i vizi delle cose che di esso formano oggetto non è richiesta dall'art. 1492 c.c. la colpa dell'alienante, la cui sussistenza è, invece, necessaria per promuovere l'azione risolutoria per difetto delle qualità promesse, in quanto l'art. 1497 c.c., che disciplina quest'ultima, richiama, a differenza dell'altra norma, le disposizioni generali dell'istituto della risoluzione per inadempimento, il quale è fondato sulla colpa, per promuovere l'azione risarcitoria, nella quale l'art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore, ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi (Cassazione civile , sez. II, 18 maggio 2009, n. 11423).
L’assenza delle qualità pattuite per l'uso al quale la stessa era destinata, poiché, a differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente (Cassazione civile , sez. II, 24 maggio 2005, n. 10922)

martedì 10 novembre 2009

Approvazione tabelle millesimali e legittimazione passiva dell'amministratore in caso d'impugnazione: La parola alle Sezioni Unite della Cassazione

Per lungo tempo la S.C. ha ritenuto che l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali non rientra nella competenza dell'assemblea, ma costituisce oggetto di un negozio di accertamento, il quale richiede il consenso di tutti i condomini; ove tale consenso unanime manchi, alla formazione delle tabelle provvede il giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condomini (cfr. in tal senso: sent. 5 giugno 2008 n. 14951; 19 ottobre 1988 n. 5686; 17 ottobre 1980 n. 5593; 18 aprile 1978 n. 1846; 8 novembre 1977 n. 4774; 6 marzo 1967 n. 520).
A sostegno di tale tesi si rileva che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell'assemblea, o che l'atto di approvazione delle tabelle millesimali,deve essere inquadrato nella categoria dei negozi di accertamento, con conseguente necessità del consenso di tutti i condomini (sent. 8 luglio 1964 n. 1801).
La delibera con la quale si approva la tabella millesimale senza il consenso anche di uno solo dei condomini, secondo parte della giurisprudenza e affetta da nullità assoluta senza limitazione di tempo (sent. 9 agosto 1996 n. 7359); secondo altra giurisprudenza configurerebbe una ipotesi di nullità relativa, in quanto non opponibile dai condomini consenzienti, e non obbligherebbero i dissenzienti e gli assenti, i quali potrebbero dedurne la inefficacia secondo i principi generali, senza essere tenuti all'osservanza del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c. (sent. 6 marzo 1967, cit.; 23 dicembre 1967 n. 3012; 6 maggio 1968 n. 1385; 6 marzo 1970 n. 561; 14 dicembre 1974 n. 4274).
Strettamente connesso a questa problematica, è l'ulteriore contrasto giurisprudenziale in materia di legittimazione passiva dell'amministratore o dei singoli condomini (orientamento prevalente: sent. 10 maggio 1992 n. 4405; 8 aprile 1983 n. 2499; 18 aprile 1978 n. 1846; 21 marzo 1977 n. 1084) in caso di domanda giudiziale di un condomino volta all'accertamento della invalidità o inefficacia della tabella millesimale.
Un ulteriore autorevole indirizzo giurisprudenziale è prossimo, e probabilmente porrà un fondamentale punto fermo.

Annullabilità della delibera che statuisce sui criteri di ripartizione delle spese condominiali

Cass. Civ. , Sez. II, sentenza del 14 gennaio 2009, n. 747


In materia di condominio degli edifici ed in ordine alla ripartizione delle spese comuni, le attribuzioni dell'assemblea, ai sensi dell'art. 1135 c.c., n. 2, sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe, venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca, per cui la deliberazione assembleare che modifichi detti criteri e' inefficace nei confronti del condomino dissenziente per nullità radicale deducibile senza limitazioni di tempo e non meramente annullabile con impugnazione da proporsi nel termine di cui all'art. 1137, c.c..
Tale orientamento giurisprudenziale è stato parzialmente rimodellato da una recente sentenza del Supremo Collegio, il quale ha deciso che esso trova applicazione solo nel caso in cui l'assemblea consapevolmente modifichi i criteri di ripartizione delle spese stabiliti dalla legge; al di fuori di questa ipotesi, invece, le deliberazioni relative alla ripartizione delle spese sono semplicemente annullabili a norma dell'art. 1137, c.c..

Se l'autovelox non è segnalato, la sanzione cagionata è nulla.

L'art 4 d.l. n. 121/2002 convertito in legge n. 168/2002, dispone che: "Sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all'articolo 2,comma 2, lettere A e B, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico, di cui viene data informazione agli automobilisti, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142 e 148 dello stesso decreto legislativo, e successive modificazioni".
Con sentenza n. 7419/200, la Cassazione ha chiarito che l'obbligo di informazione ivi previsto non può avere efficacia soltanto nell'ambito dei rapporti organizzativi interni alla p.a. (cfr in tal senso Cass. n. 12833/2007), ma è finalizzato a portare gli automobilisti a conoscenza della presenza dei dispositivi di controllo, onde orientarne la condotta di guida e preavvertirli del possibile accertamento di violazioni con metodiche elettroniche. Si tratta dunque di norma di garanzia per l'automobilista, la cui violazione non è priva di effetto, ma cagiona la nullità della sanzione!

Sulla tassa dei rifiuti non è possibile applicare l’I.V.A..

Recentemente la Corte Costituzionale si è pronunciata su una questione particolarmente delicata per i bilanci pubblici, ma anche per l’economia dei contribuenti, ritenendo che la “T.I.A.” (Tassa Igiene Ambientale) è una variante della T.A.R.S.U., e come tale essa è un tributo del quale presenta tutti i caratteri quali: l’obbligatorietà, l’assenza del rapporto sinallagmatico (di reciprocità), collegamento della prestazione pubblica offerta a un presupposto economico rilevante. Per effetto di tale decisione che sopisce il dibattito che sull’argomento era sorto, anche sulla “T.I.A.”, come sulla “T.A.R.S.U.”, non è possibile applicare l’I.V.A., poiché ciò determinerebbe l’applicazione di una tassa su un’altra tassa, sì da determinare una imposizione illegittima (n.238 del 24 luglio 2009).
Alla luce di questa fondamentale pronuncia della Consulta, gli enti pubblici e le aziende che gestiscono il servizio di raccolta dei rifiuti devono prestare particolare attenzione per non scivolare in tale illegittima condotta, che determinerebbe un numero particolarmente elevato di ricorsi.

lunedì 9 novembre 2009

Mancata indicazione degli estremi dell'ordinanza comunale a tergo del segnale stradale

L'art. 77, comma 7, del regolamento di esecuzione del codice della strada, regolamenta le indicazioni che devono essere inserite a tergo dei segnali stradali, disponendo, tra l'altro, che vengano indicati l'ente o l'amministrazione proprietaria della strada, e gli estremi dell'ordinanza di apposizione. A fronte di tale previsione, non v'è alcuna norma che prevede quali siano le conseguenze in caso di sua violazione, e ciò ha determinato un contrasto giurisprudenziale che da ultimo è stato risolto a favore della legittimità del segnale privo di dette indicazioni. Gli estremi dell'ordinanza, insieme agli altri requisiti previsti dalla legge, infatti, hanno la funzione di consentire agli organi preposti di verificare che i segnali siano stati apposti dagli organi competenti, e la loro omissione non esime l'automobilista dall'obbligo di rispettare l'ordine prescritto (Cass. n. 6474/00).

L'accertamento dell'infrazione al codice della strada

Una vexata questio riguarda l'obbligo o meno dell'immadiata contestazione dell'infrazione al codice della strada. Sebbene, in via generale, il pubblico ufficiale debba procedere alla immediata contestazione e all'identificazione del conducente, è lo stesso codice della strada che esplicitamente prevede che ciò può non essere fatto qualora la contestazione non sia possibile, o semplicemente opportuna in virtù delle condizioni in cui operano gli agenti (art. 384, regolamento d'esecuzione del c.d.s.). La Cassazione ha ulteriormente chiarito la sfera operativa di tale norma, includendovi anche ipotesi in cui la certezza dell'illecito si concretizza in un momento successivo, o in conseguenza di accertamenti che per la loro complessità non possono essere realizzati nell'immediatezza, semprechè tali circostanze siano specificate nel verbale di contestazione (Cass., n. 14040/08).
Tuttavia, in caso di rilevazione mediante il dispositivo "autovelox" il giudice non può eccepire che gli operatori non abbiano adottato uno dei possibili sistemi che consenta l'immediata contestazione dell'infrazione.
In estrema sintesi, la contestazione successiva è legittima a condizione che ricorrano le circostanze suesposte, e che le stesse siano indicate nel verbale. In caso contrario, procedere al ricorso!

sabato 7 novembre 2009

Multe: se arriva la cartella esattoriale

I Comuni che procedono alla riscossione delle sanzioni conseguenti alla violazione del Codice della Strada, devono procedere alla formazione dei ruoli esattoriali, per poi consegnarli all'esattore che procede alla riscossione delle relative somme.
Come ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 12999/99, l'azione di riscossione si prescrive in cinque anni a partire dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione, mentre il termine ultimo è quello in cui i ruoli vengono consegnati all'esattore, in quanto è proprio con questa procedura che la P.A. pone in essere l'atto d'impulso della procedura di riscossione, e al contempo si priva della facoltà di compiere altri atti diretti alla riscossione della sanzione. Tale termine, tuttavia, è interrotto dalla notifica del varbale, che costituisce agli effetti di legge, una formale messa in mora del debitore. Gli atti esecutivi dell'esattore, invece, sono soggetti alla prescrizione biennale che inizia a decorrere dalla consegna dei ruoli al medesimo esattore, la cui data deve sempre essere indicata nella cartella esattoriale.
Questa breve carrellata sui termini prescrizionali, anche se noiosa a una prima lettura, assume un particolare interesse ove si osservi che dalla consegna dei ruoli alla notifica della cartella esattoriale sovente trascorrono parecchi anni, e la prescrizione può tramutarsi in un inaspettato alleato del contribuente.

Termine per la notifica delle multe: facciamo il punto

A norma dell'art. 210, c. d. s., in caso di contestazione differita, il verbale deve essere notificato entro 150 giorni dal fatto. Detto termine inizia a decorrere dal momento in cui la P. A. è posta nella concreta condizione di conoscere il nominativo dell'obbligato, ovvero del proprietario del mezzo indicato nei pubblici registri (Corte Cost., sentenza n. 198, 1966; Cass, sent. n. 27936/2008). Questo principio è stato ribadito da una recente sentenza della Cassazione la quale ha ulteriormente chiarito che: "In tema di sanzioni amministrative, in caso di mancata contestazione immediata del verbale, il momento dell'accertamento, in relazione al quale decorre il "dies a quo" del termine prescritto [...] per la notifica degli estremi, non coincide nella conoscenza dei fatti nella loro materialità da parte dell'autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato in quello in cui l'autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell'esistenza della violazione segnalata ovvero in quello in cui il tempo decorso, pur tenendo conto della complessità della fattispecie, non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di detta acquisizione e valutazione".
Sulla base di quanto ormai si è consolidato in giurisprudenza, non pare che in futuro ci possano essere ulteriori dubbi. Dunque, attenzione!

Eppur si muove ... In arrivo ulteriori novità per il processo civile?

La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha rinviato la discussione sul decreto delegato che rende obbligatorio il tentativo di conciliazione in materia civile e commerciale. Secondo questa riforma, infatti, chi matura l'intento di agire in giudizio in materia di condominio, diritti reali, successioni ereditarie, patti di famiglia, divisioni, locazioni, comodati, affitto di aziende, risarcimento danno da responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari o finanziari, ha l'obbligo di esperire il tentativo di conciliazione disciplinato dal medesimo decreto o quello previsto dal decreto legislativo n. 179/2007, per le materie ivi previste.
Si tratto di un utile strumento che potrebbe contribuire a decongestionare i Tribunali italiani prossimi alla paralisi, ma anche in quaesta circostanza la politica fa attendere! Aspettiamo fiduciosi...