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sabato 5 febbraio 2011

La class action può essere esercitata da qualunque acquirente

Il Tribunale di Milano, nella causa R.G.N. 98/10, con l'ordinanza del 16 dicembre 2010, depositata il 20 dicembre 2010, ha ammesso parzialmente una class action esercitato contro l’ingannevolezza del foglio illustrativo di un prodotto farmaceutico, stabilendo che, a norma dell'articolo 140 bis, codice del consumo, qualunque acquirente "componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa" può esercitare l'azione collettiva o di classe per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
Con tale provvedimento il Tribunale adito ha stabilito il principio secondo cui la “qualifica” di consumatore deve essere riconosciuta a chiunque si renda acquirente di un prodotto, compresi gli avvocati delle associazioni dei consumatori, non rilevando che l’eventuale acquisto sia finalizzato all’esercizio dell’azione di classe.

martedì 11 gennaio 2011

La Cassazione si pronuncia sugli atti suscettibili d’impugnazione innanzi al giudice tributario

Secondo i Giudici della Suprema Corte, che si sono pronunciati con la sentenza del 6 luglio 2010, n. 15946, va riconosciuta la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Ne consegue che anche l'estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall'art. 19 sopra citato.

Irragionevole durata del processo: l’equa riparazione spetta anche alle società

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche e i soggetti collettivi il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale "in re ipsa"- ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione, - una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l'altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Con questa sentenza, la n. 12024 del 17 maggio 2010, i Supremi Giudici hanno stabilito che in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è - tenuto conto dell'orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo - conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno "in re ipsa" - ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.

martedì 5 ottobre 2010

Impugnazione della sanzione inflitta per violazione del divieto di fumo

Il divieto di fumo si applica anche nei locali assegnati alla disponibilità del dipendente pubblico, purchè aperti ad altri utenti ed al pubblico. Ciò vale non solo per le stanze degli impiegati e dei dirigenti, ma anche per lo studio in cui il docente universitario riceve gli studenti.
E se l'Amministrazione infligge al trasgressore la sanzione prevista dalla legge 11 novembre 1975, n. 584, artt. 1 e 7 e dalla Dir.P.C.M. 14 dicembre 1995, l'interessato non può impugnarla subito davanti al giudice.
Con questa sentenza, la n. 11281 del 2010, la Cassazione ha chiarito che il verbale di contestazione suindicato non costituisce titolo esecutivo e, dunque, prima di esperire l'azione giudiziale, l'interessato deve omettere il pagamento della somma prevista e attendere che l'Amministrazione procedente faccia rapporto al Prefetto e che questi disponga il pagamento con ordinanza. Solo al termine di tale procedimento l'interessato potrà presentare ricorso impugnando l'ordinanza che, avendo natura ingiuntiva, costituisce titolo esecutivo valido ai fini dell'impugnazione.

Separazione: la rata del mutuo a carico dell'ex marito può essere decurtata dall'assegno di mantenimento

Con sentenza del 25 giugno 2010, n. 15333, la Cassazione ha stabilito che in materia di separazione personale, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dovuto dall'un coniuge all'altro è legittimo avere riguardo al pagamento da parte del coniuge obbligato dell'intera rata di mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in regime di comunione e, pur in assenza di figli, adibita ad abitazione della moglie. La circostanza di cui innanzi, oltre che pienamente ammissibile, in quanto apprezzamento di fatto, deve ritenersi non sindacabile in sede di legittimità.

lunedì 4 ottobre 2010

Sanzioni per violazione della normativa antiriciclaggio

In tema di sanzioni amministrative irrogate per violazione della normativa antiriciclaggio, al fine di accertare la violazione del divieto di cui all'art. 1, comma 1, del D.L. n. 143 del 1991, convertito nella legge n. 197 del 1991, per il quale non è possibile trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori ad Euro 12.500 senza il tramite di intermediari abilitati, occorre far riferimento al valore dell'intera operazione economica cui il trasferimento è funzionale. Ciò posto, sussiste la violazione del predetto divieto anche nell'ipotesi in cui, come accaduto nel caso concreto, il trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di varie operazioni, ovvero con più versamenti di valore inferiore o pari al massimo consentito.

E’ impugnabile “la comunicazione di iscrizione a ruolo” inoltrata con il mezzo postale

Con la sentenza del 15/06/2010, n. 14373, Sez. Trib., i Giudici di legittimità ha stabilito che la “comunicazione di iscrizione a ruolo” spedito a mezzo posta ordinaria e non tramite notifica, è da ritenersi atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 32, co 1, lett. a) del D.Lgs. n. 46/1999. Tale decreto disciplina la fattispecie relativa alla c.d. riscossione spontanea delle imposte dovute a mezzo ruolo, prevedendo che si considera tale la riscossione da effettuare a “seguito di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento”. I giudici della Cassazione sostengono che la comunicazione di iscrizione a ruolo non è atto privo di effetti giuridici e quindi il contribuente ha l’interesse a impugnarlo a tutela della propria situazione giuridica. Interesse del contribuente che scaturisce proprio dalla comunicazione ricevuta a mezzo posta poiché contiene “la determinazione dell’esatta somma dovuta e la specifica che in mancanza del suo pagamento seguirà l’iscrizione a ruolo. Pertanto, tale atto si qualifica come una vera e propria liquidazione dell’imposta e quindi è da giudicare equipollente alla cartella esattoriale, impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546/1992.
Tale sentenza si pone nel già consolidato solco dell’orientamento giurisprudenziale della medesima Cassazione, secondo il quale “nel processo tributario sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs n. 546/1992, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda in una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla progettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto non assumendo alcun rilevo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione”.