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martedì 11 gennaio 2011

La Cassazione si pronuncia sugli atti suscettibili d’impugnazione innanzi al giudice tributario

Secondo i Giudici della Suprema Corte, che si sono pronunciati con la sentenza del 6 luglio 2010, n. 15946, va riconosciuta la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Ne consegue che anche l'estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall'art. 19 sopra citato.

Irragionevole durata del processo: l’equa riparazione spetta anche alle società

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche e i soggetti collettivi il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale "in re ipsa"- ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione, - una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l'altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Con questa sentenza, la n. 12024 del 17 maggio 2010, i Supremi Giudici hanno stabilito che in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è - tenuto conto dell'orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo - conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno "in re ipsa" - ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.