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lunedì 28 dicembre 2009

Garanzia beni: lo scontrino non è l’unica prova dell’acquisto

E’ tempo di regali, e non è raro tornare dal venditore di un prodotto risultato difettoso per sentirsi dire che senza scontrino il bene non è coperto da alcuna garanzia.
Al riguardo è opportuno mettere in chiaro che per usufruire della garanzia, il consumatore deve fornire la prova dell’acquisto del bene, nonché della data della relativa consegna - generalmente contestuale all’acquisto e indispensabile per la decorrenza della biennale garanzia – e che la prova principale sia costituita dallo scontrino fiscale, sostituibile, in caso di suo smarrimento, da altri documenti idonei a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale di compravendita, quali lo scontrino bancomat e la cedola della carta di credito, dai quali è comunque possibile desumere il nominativo del venditore e la data di acquisto del bene.
Qualora il venditore contesti la validità di tali documentazioni, sarà a suo carico l’onere di dimostrare il contrario, ovvero che le suddette documentazioni non si riferiscono al prodotto effettivamente venduto e riconsegnato per la garanzia.
La disciplina in materia di garanzia dei beni di consumo prevede che il difetto di conformità si manifesti entro 24 mesi dalla consegna, e riconosce al consumatore il tempo massimo di due mesi per la denuncia del difetto, a pena di decadenza, e di ventisei mesi, a pena di prescrizione, per l’esercizio dell’azione giudiziaria diretta a far valere il suddetto difetto.
I rimedi esperibili a scelta del consumatore sono la riparazione o sostituzione del bene, in entrambi i casi senza spese, salvo che il rimedio scelto non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso. La riparazione o sostituzione devono avvenire entro un termine congruo e senza arrecare notevoli inconvenienti al consumatore. Nell’ipotesi in cui tali rimedi siano impossibili o eccessivamente onerosi, ovvero il venditore non vi provveda entro il termine congruo, il consumatore può richiedere, a sua scelta, una adeguata riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.

Eccesso di velocità: il limite dipende anche dalle condizione dei luoghi e della strada

Una recente sentenza ribadisce un importante principio prendendo spunto da una multa contestata da un automobilista che attraversando un incrocio con semaforo rosso, ha eccepito la breve durata della luce gialla, pari a soli quattro secondi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25769, del 9 dicembre 2009, rilevando l’eccesso di velocità dell’automobilista che ha ricorso ai Supremi Giudici, ha ribadito che l'esistenza di un limite di velocità non giustifica il mantenimento di tale velocità anche in presenza di un'intersezione, dovendo in tal caso il conducente moderare la velocità in previsione del possibile sopravvenire del segnale di fermata. In proposito, ricorda che nel sistema delle norme sulla circolazione stradale, l'apprezzamento della velocità, in funzione dell'esigenza di stabilire se essa debba o meno considerarsi eccessiva, deve essere condotto in relazione alle condizioni dei luoghi, della strada e del traffico che vi si svolge senza che assuma decisivo rilievo persino l'eventuale osservanza dei limiti imposti, in via generale, dal codice della strada (Cass. 20173/2004). Ne consegue che i calcoli compiuti dal ricorrente per dimostrare l'insufficienza della durata di quattro secondi di accensione della luce gialla per procedere all'arresto tempestivo del veicolo sono irrilevanti perché compiuti sul presupposto che il mezzo procedesse legittimamente alla velocità di 70 km/h, velocità che, per quel che si è detto, doveva invece ritenersi del tutto inadeguata tenuto conto dell'approssimarsi dell'intersezione.

Trasporto ferroviario: adesso i passeggeri hanno maggiori diritti

A molti forse è noto che tra il popolo dei viaggiatori, quelli del trasporto aereo sono i più tutelati grazie alla disciplina di fonte europea particolarmente sensibile nel riconoscere loro un numero cospicuo di diritti. Tale differenza nei confronti degli utenti del trasporto ferroviario, però, si è notevolmente ridotta grazie al Regolamento europeo n. 1371/2007, approvato il 23 ottobre 2007 dal Parlamento europeo ed entrato in vigore adesso, che effettua una quasi completa parificazione, riconoscendo da subito agli utenti del vettore su rotaia: maggiori informazioni sulla disponibilità e reperibilità dei biglietti; responsabilità delle imprese ferroviarie in relazione ai passeggeri ed ai loro bagagli, e conseguente obbligo all’indennizzo (risarcimento fino a circa 1285 euro per ogni bagaglio smarrito o danneggiato; in caso di decesso o di gravi lesioni, anticipo immediato del risarcimento per affrontare le esigenze economiche immediate e almeno 21.000 euro per passeggero deceduto); l’obbligo per le imprese ferroviarie di essere adeguatamente assicurate ai fini della copertura delle responsabilità verso i clienti previste dallo stesso Regolamento; diritto delle persone disabili ad accedere al servizio con modalità non discriminatorie e senza costi aggiuntivi; maggiore sicurezza per i passeggeri nelle stazioni mediante la predisposizione di un adeguato servizio a questo fine destinato. A tali diritti, salvo che il singolo paese conceda una deroga di cinque anni, rinnovabile per altri cinque, il Regolamento in oggetto ne aggiunge degli altri, tra cui maggiore assistenza e rimborso dei biglietti o indennizzo in caso di ritardo pari almeno al 25% del prezzo del biglietto per ritardi da una a due ore e al 50% del prezzo del biglietto per ritardi superiori alle due ore.

martedì 22 dicembre 2009

Sinistri stradali: chi deve dimostrare cosa

In via generale e salvo eccezioni, le norme del codice della strada prevedono una presunzione di colpa a carico di tutti i soggetti coinvolti in sinistri stradali. Da ciò ne consegue, che in tali casi colui che ritiene di avere ragione deve dimostrare non solo la responsabilità dell’altro automobilista, ma pure che la propria condotta sia stata completamente aderente alle norme in materia di circolazione stradale, tale da non poter muovere alcun genere di rimprovero.
Su questo argomento, infatti, è ormai consolidato il principio giurisprudenziale per cui in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, "l'accertamento in concreto della colpa di uno dei soggetti coinvolti nel sinistro, per avere commesso un'infrazione, anche grave, al codice della strada, non esclude la presunzione di colpa concorrente dell'altro" (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 557 del 14.01.2009; Cass. 14 giugno 2006, n. 3193; 3 novembre 2004, n. 21056; 27 ottobre 2004, n. 20814; 23 febbraio 2004, n. 3549).

venerdì 18 dicembre 2009

Lavoro “nero”: il lavoratore si presume assunto dal 1° gennaio, salvo che il datore provi il contrario

In caso di lavoro irregolare scoperto dagli organi competenti, nasce il problema di accertare da quale giorno il lavoratore presti la propria opera, essendo frequente il disaccordo tra questi e il datore di lavoro.
Con sentenza n. 25236 del 30/11/2009, la Corte di Cassazione stabilisce un principio molto interessante, specificando che con pronuncia n. 144 del 2005 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale dell’art. 3, 3° comma, del d. l. n. 12/2002, convertito nella legge n. 73/2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1° gennaio dell’anno nel quale è stata elevata contestazione della violazione.
Ne discende che l’onere di provare la decorrenza del rapporto (successiva al 1° gennaio) grava sul datore di lavoro, presumendosi in difetto di prova che il rapporto decorra dal 1° gennaio (e non dal giorno dell’accertamento), e che incorre nel vizio di omessa motivazione la sentenza che nonostante la mancanza di prove annulli l’atto di irrogazione delle sanzioni.

Viaggi tutto compreso: il rapporto si estingue se il viaggiatore non può beneficiare della prestazione

Le vacanze natalizie si avvicinano, e appare opportuno ricordare cosa succede qualora il viaggiatore non possa beneficiare del pacchetto vacanza “Tutto compreso” per cause a lui non imputabili (es. malattie, lutti) .
Si premette che il contratto viaggio vacanza "tutto compreso" (cd. "pacchetto turistico" o package) previsto dal D.Lgs. n. 111 del 1995, ed ora trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 82 e segg. (cd. Codice del Consumo) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l'oggetto e la finalità, in quanto risulta dalla combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall'alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) con durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 2 e segg., ora trasfuso nell'art. 84 del Codice del Consumo).
La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono in particolare a connotare la finalità unitaria volta a realizzare, il soddisfacimento dei profili - da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso - di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali, escursionistici, ecc. ("scopo di piacere") che costituisce la causa concreta del contratto (cfr. Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 8/5/2006, n. 10490) che, da un canto, vale a qualificare il contratto, determinando l'essenzialità di tutte le attività ed i servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero, e cioè il benessere psico-fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a realizzare, da altro canto, assume rilievo quale criterio di adeguamento del contratto.
La causa concreta viene a rivestire, come non si è mancato di osservare in dottrina, decisiva rilevanza altresì in ordine alla sorte della vicenda contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto, quali ad es. l'impossibilità o l'aggravio della prestazione, l'inadempimento, ecc..
Eventi negativamente incidenti sull'interesse creditorio (nel caso, turistico) sino a farlo venire del tutto meno laddove - in base a criteri di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso - depongono per l'impossibilità della relativa realizzazione.
In tal caso, il venir meno dell'interesse creditorio determina l'estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto dell'elemento funzionale (art. 1174 c.c.).
Il venir meno dell'interesse creditorio e della causa del contratto che ne costituisce la fonte, può essere determinato anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, la quale deve essere non imputabile al creditore, incidente sull'interesse che risulta anche tacitamente obiettivato nel contratto e connotare la causa concreta.
Trattandosi di contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" (o di package) la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere tale da vanificare o rendere irrealizzabile la "finalità di vacanza", laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desiderio di allontanarsi per un po' dal coniuge o dalla cerchia degli amici o dall'ambiente di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi.
Pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999, n. 10690), il venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo "scopo di piacere" in cui si sostanzia la "finalità turistica"), implica il venir meno dell'interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore estinguendo il rapporto obbligatorio per il venir dell'interesse creditorio, e di conseguenza il contratto che dell'obbligazione costituisce la fonte per irrealizzabilità della relativa causa concreta.

giovedì 17 dicembre 2009

La decurtazione dei punti può essere oggetto d’impugnazione

In caso d’infrazione del codice della strada l’automobilista è soggetto ad una sanzione principale di carattere pecuniario, e ad una seconda di natura accessoria costituita dalla decurtazione dei punti della patente. Con una recente sentenza della Cassazione, che ha ribadito un principio già fissato dalla Corte Costituzionale nel 2005, si è sancita l’opponibilità anche della sola sanzione accessoria, che può costituire un’azione del tutto indipendente dall’opposizione avente ad oggetto la sanzione pecuniaria.
Infatti, con la sentenza n. 22235 del 21 ottobre 2009, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che in proposito le sezioni unite si sono già pronunciate con la sentenza 29 luglio 2008 n. 20544, enunciando il principio - dal quale non vi sarebbe ragione di discostarsi - secondo cui la decurtazione dei punti ha natura di sanzione amministrativa accessoria ed è pertanto anch'essa soggetta al mezzo di impugnazione dell'opposizione in sede giurisdizionale, che nel sistema sanzionatorio del codice della strada ha carattere generale, sicché l'esclusione della sua esperibilità nella materia di cui si tratta sarebbe priva di ogni ragionevole giustificazione e non compatibile con i principi sanciti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Con la sentenza 21 gennaio 2005 n. 27 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 126 bis del codice della strada, nella parte in cui disponeva che la decurtazione dei punti dalla patente di guida, in caso di mancata individuazione del conducente e di omessa comunicazione della sua identità da parte del proprietario del veicolo, dovesse essere effettuata a carico di quest'ultimo.

mercoledì 16 dicembre 2009

La cartella notificata alla moglie divorziata è valida

E’ frequente che successivamente al divorzio tra gli ex coniugi cessi quasi del tutto qualunque tipo di rapporto, lasciando spazio solo ai rancori e alle reciproche recriminazioni.
L’interruzione dei rapporti, però, può lasciare in eredità alcune pendenze giuridiche che richiedono ancora un minimo di collaborazione. Tra queste vi è la notifica della cartella esattoriale a uno degli ex coniugi. Secondo l’ordinanza della Cassazione del 3 dicembre 2009, n. 25486, infatti, la cartella di pagamento notificata alla ex moglie, relativa a redditi dichiarati congiuntamente all’ex coniuge prima del divorzio, è legittima anche se la donna non ha mai ricevuto la notifica delle sentenze sfavorevoli all’ex coniuge nella causa da questi persa contro il Fisco. Secondo la Corte, in caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi, mentre i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento di imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito, la moglie (coniuge co-dichiarante) è legittimata a proporre autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti a carico del marito - cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per la coniuge - venendo altrimenti vulnerato il diritto di difesa della moglie, che rimane corresponsabile delle maggiori imposte e degli accessori relativi a quell’accertamento, e non ostando a ciò la circostanza che l’avviso di accertamento debba essere notificato al marito.
Non rileva, ai fini dell’insorgere della responsabilità solidale della moglie co-dichiarante, la notifica a quest’ultima delle sopravvenute pronunce del giudice tributario in ordine ai ricorsi proposti dal marito, nè la sopravvenuta separazione giudiziale, nè la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La concessione in sanatoria può essere impugnata dai condomini

Gli abusi edilizi di vario tipo (si pensi alle sopraelevazioni degli ultimi piani) sono particolarmente frequenti, così come le liti e le discussioni che dagli stessi possono sorgere con i condomini di uno stesso stabile. Chi è alle prese con le relative regolarizzazioni, deve fare i conti con i propri vicini di casa, in quanto con sentenza n. 7491, del 30 novembre 2009, il Cons. Stato, Sez. IV, ha statuito che in tema di concessione in sanatoria, prevista dall’art. 31 della legge n. 47/1985, sussiste la legittimazione all’impugnazione del predetto provvedimento da parte dei proprietari-condomini di appartamenti situati nel medesimo stabile sul cui lastrico solare insiste il manufatto abusivo, in quanto gli stessi si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione oggetto di sanatoria, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse.

martedì 15 dicembre 2009

Responsabilità sanitaria: sussiste se il danno è conseguenza dell’omissione del sanitario, o dell’insufficienza delle apparecchiature

La professione medica è certamente tra le più complesse perché spesso chi l’esercita può garantire la sopravvivenza di un essere umano. A volte, però, il sottile confine della responsabilità del sanitario viene valicato, schiudendo le porte al diritto che si sobbarca l’onere di individuare le condizioni di punibilità delle condotte in esame.
A tal riguardo, la Cassazione civile , sez. III, con la sentenza n° 10743, dell’11.05.2009, è intervenuta su questa delicata problematica stabilendo che secondo la giurisprudenza della medesima Corte in tema di responsabilità contrattuale dei sanitari e degli enti ospedalieri, una volta dimostrata la esistenza del contratto (tra il medico e la struttura sanitaria) e l'inesatto adempimento della obbligazione sanitaria, resta a carico dei debitori della prestazione (medici) l'onere di provare l'esatto adempimento e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
Anche con riferimento alla individuazione del nesso di causalità fra la condotta omissiva del medico e l'evento dannoso, la giurisprudenza della Cassazione ha superato la concezione tradizionale, passando dal criterio della certezza degli effetti della condotta omessa a quello della probabilità di essi e dell'idoneità della condotta stessa ad evitarli, ove posta in essere.
Va rilevato che, ove le nozioni di patologia medica e di medicina legale non forniscano un grado di certezza assoluta, il ricorso al criterio della probabilità costituisce una necessità logica in quanto si tratta di accettare o rifiutare l'assunto secondo il quale il danno si è verificato a causa del fatto che non è stato tenuto il comportamento atteso.
E' appena il caso di osservare che il rigetto della domanda di risarcimento nei confronti di un medico non è sufficiente ad escludere la responsabilità del presidio ospedaliere.
E' infatti pur sempre configurabile una responsabilità autonoma e diretta della struttura ospedaliera ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (Cass. 1 luglio 2002 n. 9556, 14 luglio 2004 n. 13066, v. anche Cass. 28 novembre 2007 n. 24759).
Una responsabilità dell'ospedale può configurarsi anche nella insufficienza delle apparecchiature a disposizione per affrontare la prevedibile emergenza, ovvero nel ritardo nel trasferimento del paziente in un centro ospedaliero attrezzato.

Responsabilità del notaio e visure ipotecarie e/o catastali

La stipula di un contratto di vendita avente ad oggetto un immobile è preceduta da un lavoro “preparatorio” teso, tra l’altro, mediante le cosiddette visure catastali e ipotecarie, a verificare l’identità dell’edificio e l’eventuale presenza di oneri o pesi, come ad esempio l’ipoteca. Nell’esercizio dell’attività economica, o per altre ragioni di urgenza, l’acquirente può esonerare il notaio dalle suddette incombenze, per poi ritenerlo responsabile, qualora successivamente dovesse scoprire che proprio l’appartamento acquistato è gravato da un’ipoteca di cui ignorava l’esistenza.
Sull’argomento è intervenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25270/2009), la quale dispone che deve escludersi la sussistenza della responsabilità del notaio, ex artt. 1218 e 1176, comma 2, c.c., nel caso in cui gli sia stata richiesta la stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare privata autenticata con l’espresso esonero, per concorde volontà delle parti, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti medesime, concernenti, in particolare, il compimento delle cosiddette “visure catastali” e ipotecarie – aventi lo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà – sempre che, l’esonero sia giustificato da esigenze concrete delle parti e da ragioni di urgenza di stipula dell’atto, non rilevando, ai fini dell’esclusione della responsabilità, la circostanza che (l’esonero) non sia stato contemplato in una clausola scritta, non essendo quest’ultima necessaria per la validità e legittimità dello stesso.

lunedì 14 dicembre 2009

Sinistri stradali: la messa in mora della compagnia assicurativa è sempre obbligatoria

In caso di sinistro, qualora le parti non raggiungano un accordo, la via giudiziaria diviene inevitabile poichè entrambe ritengono di essere state danneggiate dall’altra. In siffatte ipotesi, allora, è possibile che chi viene citato (convenuto) a sua volta chieda il risarcimento danni alla controparte e alla assicurazione di quest’ultima, mediante la cosiddetta domanda riconvenzionale.
A norma dell’art. 145 del codice delle assicurazioni, prima di agire nei confronti di una compagnia assicurativa, è necessario che dalla formale messa in mora trascorrano sessanta giorni, ma la medesima non chiarisce se lo stesso termine deve intercorrere anche nell’ipotesi della domanda riconvenzionale. Ebbene, con sentenza n. 22597 del 26.10.2009, la Cassazione ha stabilito che “la condizione di proponibilità della domanda (…) opera sia nel caso di azione diretta (…) che nella ipotesi di azione di responsabilità aquiliana, a norma dell'articolo 2054 cod. civ..
Infatti detta condizione di proponibilità è posta dalla legge senza distinzione fra le persone contro cui l'azione venga proposta, cumulativamente o singolarmente.
Deve, in linea di principio, essere dichiarata improponibile anche la domanda formulata ai sensi dell'articolo 2054 cod. civ. contro il proprietario ed il conducente del veicolo, qualora non sia stata promossa oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta di risarcimento all'assicuratore r.c.a.”.

Il furto tra i conviventi è punibile

Com’è noto, le cosiddette coppie di fatto, sia etero che omosessuali, non sono oggetto di alcuna disciplina, sebbene il dibattito politico da tempo affronti infruttuosamente la problematica della loro regolamentazione giuridica.
I ritardi e le lentezze della politica e del legislatore italiano, ciononostante, non esimono i giudici dall’affrontare e risolvere problemi concreti come il furto tra i conviventi, oggetto di una recente pronuncia della Cassazione, che con la sentenza n. 44047/2009 ne ha sancito la rilevanza penale.
Infatti, sulla scorta di quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 352/2000, secondo la quale i reati contro il patrimonio non sono punibili a norma dell’art. 649, I c., nell’ambito dei rapporti di parentela, affinità, adozione e coniugo, perché sono agevolmente riscontrabili in sede anagrafica, al contrario della convivenza more uxorio il cui accertamento, in punto di fatto, è rimesso alla dichiarazione degli stessi interessati, la Cassazione - con la sentenza su citata - ha sancito che nell'ambito dei rapporti patrimoniali, la convivenza more uxorio non è sempre e comunque meccanicamente assimilabile al rapporto coniugale, mancando in essa i caratteri di certezza e di (tendenziale) stabilità propri del vincolo coniugale, essendo invece basata sull'affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile.

venerdì 4 dicembre 2009

Oneri condominiali: la quota del condomino inadempiente non grava sugli altri condomini

Può capitare che un condomino non paghi il dovuto per affrontare spese straordinarie e necessarie, come il rifacimento della facciata. E’ legittimo chiedersi, pertanto, se tale quota debba essere posta a carico degli altri condomini (obbligazione solidale), oppure no.
Proprio su questa problematica si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite, che con sentenza n. 9148, dell’8 aprile 2008, ha disposto che quando la prestazione per natura è divisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai principi. La solidarietà, infatti, raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione intrinsecamente divisibile quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la struttura divisibile (parziaria) dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse.
Ma il principio generale è valido laddove, in concreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del condebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, allo stesso tempo, indivisibile. Se invece l'obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall'art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell'obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte.
Poichè la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell'obbligazione private.
Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" - in realtà, ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la unicità della causa (eadem causa obbligandi), cioè il contratto da cui l'obbligazione ha origine. E' discutibile, invece, la unicità della prestazione (idem debitum), che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell'interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l'impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc).
Orbene, posto che nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini, queste ultime, consistendo in una somma di danaro, raffigurano una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.

Multe: effettuato il pagamento il ricorso è inammissibile

Per effetto della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative (L. n. 689 del 1981), per evitare azioni esecutive basate sull’ordinanza-ingiunzione, gli obbligati possono pagare immediatamente senza che ciò comporti acquiescenza o mancanza d’interesse ad opporsi al medesimo provvedimento. Si è posto, pertanto, il problema di appurare se questa facoltà sia riscontrabile anche nell’ambito delle sanzioni amministrative elevate in seguito alla violazione del Codice della Strada.
Sull’argomento si è soffermata la Cassazione, che con sentenza n. 13101 dell’8/06/2009, ha disposto che
il tenore letterale dell'art. 203 C.d.S., comma 1 e art. 204 bis C.d.S., comma 1 non ammetta altra lettura se non quella per cui, una volta effettuato il pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art. 202 C.d.S., comma 1 entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del verbale, id est entro il medesimo termine nel quale sono consentiti, alternativamente, i ricorsi in sede amministrativa o giurisdizionale, rimane preclusa la possibilità d'impugnare l'accertamento dell'infrazione nell'una come nell'altra sede. La ratio di tale disposizione è evidente ed analoga a quella dell'istituto dell'oblazione - beneficio che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell'art. 202 C.d.S. in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali - con la quale s'intende estinguere la specifica controversia con il versamento d'una somma di danaro, precludendo, peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di successiva contestazione in ordine ai presupposti ed alle condizioni d'applicazione della sanzione; par il che, come già evidenziato in precedenza dalla stessa Corte, la formulazione dell'art. 202 C.d.S., prevedendo, al pari della L. n. 689 del 1981, art. 16, il “pagamento in misura ridotta” corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legga da parte dell'indicato (nel processo verbale di contestazione) autore della violazione, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche a fini di deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale, anche quest'ultima esperibile immediatamente avverso i verbali di contestazione delle violazioni alle norme del Codice della Strada (Cass. 11.2.05 n. 2862).

giovedì 3 dicembre 2009

Assegno divorzile: ne ha diritto anche la moglie di giovane età

L’assegno divorzile è dovuto all’ex coniuge per garantirgli lo stesso tenore di vita goduto in vigenza del rapporto matrimoniale. Maturata la decisione di sciogliere il vincolo, lo scontro tra i coniugi si focalizza nel dimostrare l’esistenza o meno del diritto all’assegno, adducendo per questo i motivi più disparati, tra cui la giovane età dell’avente diritto, che a detta dell’obbligato gli garantirebbe la possibilità di trovarsi un lavoro e divenire autosufficiente.
La Cassazione Civile, con sentenza n. 23906 dell’11 novembre 2009, si è nuovamente soffermata proprio su questa problematica, chiarendo ancora una volta, in linea con quanto già stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 114 92 del 29 novembre 1990, che l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando innanzitutto l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021; 16 maggio 2005, n. 10210; 7 maggio 2002, n. 6541; 15 ottobre 2003, n. 15383; 15 gennaio 1998, n. 317; 3 luglio 1997, n. 5986).
L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola, pertanto, in due fasi, nella prima delle quali il Giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 (ex plurimis Cass. 12 luglio 2007, n. 15610; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040).
Quanto, poi, all'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive, tale presupposto dell'assegno comporta che detta indisponibilità non deve essere imputabile al richiedente (Cass. 17 gennaio 2002, n. 432).
Pertanto, si deve trattare d'impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio, onde l'accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza (Cass. 29 marzo 2006, n. 7117), dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico - sociale, individuale, ambientale, territoriale (Cass. 16 luglio 2004, n. 13169). Da qui la tendenziale irrilevanza della giovane età, soverchiata dall’impossibilità oggettiva di trovare un lavoro che consenta di godere dello stesso tenore di vita esistente in vigenza del rapporto matrimoniale.

Multa: mancata contestazione e successiva comunicazione obbligatoria dei dati del conducente

In seguito alla contestazione non immediata di una violazione che determini la decurtazione di punti della patente, con contestuale invito a comunicare i dati del conducente, il proprietario del veicolo può: 1) non comunica i dati del conducente (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 27/2005 non si procederà a decurtazione di punti ma si applicherà al proprietario la sanzione di cui all’art. 126 bis, n. 2); 2) comunica i dati del conducente, determinando l’apertura di una fase di contestazione ed accertamento a carico della persona indicata (il proprietario resta responsabile di eventuali false dichiarazioni); 3) risponde senza identificare il conducente, oppure dichiara di non poter fornire i dati di quest’ultimo, motivando tale omissione con l’impossibilità di accertare i movimenti dell’auto all’epoca della violazione, o adducendo altre giustificazioni (si pensi alle auto aziendali).
E’ il caso di chiarire che la mancata comunicazione dei dai dell’effettivo conducente non determina necessariamente una sanzione amministrativa, se sorretta dall’esistenza di un giustificato motivo, che in prima analisi deve essere valutato dall’amministrazione che ha elevato la contravvenzione. Qualora questa lo dovesse ritenere infondato, il proprietario sanzionato ha la facoltà di rivolgersi al Giudice di Pace il quale effettuerà una nuova valutazione del caso di specie.
Proprio su questa problematica si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n. 165/2008, la quale ha affermato che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell'illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all'esistenza di un'azione od omissione che sia "cosciente e volontaria", ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l'agente da responsabilità.
Di conseguenza bisogna discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del tutto l'invito a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, da quello di colui che, presentandosi o scrivendo, adduca invece l'esistenza di motivi idonei a giustificare l'omessa trasmissione di tali dati; pertanto deve essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l'impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella "negativa" (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione).
Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l'ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare che la scelta in favore di una interpretazione che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, presenterebbe una dubbia compatibilità con l'art. 24 Cost., non consentendo in alcun modo all'interessato di sottrarsi all'applicazione della sanzione pecuniaria, risolvendosi nella previsione di una presunzione assoluta con conseguente lesione del diritto di difesa.

mercoledì 2 dicembre 2009

Gli accertamenti del Fisco devono essere giustificati

L'art. 32, primo comma, del DPR 600/1973, attribuisce agli uffici del fisco un complesso di poteri per l’espletamento dei loro compiti. Nell’esercizio di tali facoltà, gli uffici preposti talvolta operano degli accertamenti sui titolari dei conti correnti, senza che ne ricorrano le condizioni.
Ebbene, con sentenza n. 23852/2009, la sezione TRIBUTARIA della Cassazione ha chiarito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa prevista dalla citata legge introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare dei conti correnti bancari. Ciò significa che la stessa legge ritiene certo, fino a prova contraria che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente sono riconducibili al medesimo.
La disposizione, ad ogni buon conto, non consente l'accertamento indiscriminato nei confronti di tutti coloro che abbiano intestato un conto corrente, ma attribuisce solo la facoltà di accertare il reddito del contribuente con agevolazione probatoria in favore del Fisco, poiché l'onere della prova è a carico del contribuente.
Con la citata norma, pertanto, il legislatore intende attribuire rilievo normativo a quanto si riscontra nella pratica, che spinge a supporre che le rimesse in un conto corrente di un contribuente sono normalmente derivanti dalle sue attività, eliminando, nel contempo, qualunque interpretazione distorta che possa considerare le movimentazioni bancarie attinenti a situazioni equiparabili a patrimoni separati o simili fattispecie.
Ne consegue, a detta della Cassazione, che si cade in errore normativo nel momento in cui si confondono i due piani delle condizioni che giustificano l'accertamento e la determinazione del quantum (il reddito o i ricavi); per cui deriva la necessità di dimostrare se aliunde sia legittimo l'accertamento.

I verbali dei Pubblici Ufficiali: la posizione delle Sezione Unite

Il contenuto del verbale redatto da un Pubblico Ufficiale (ad es. il vigile) ha il carattere della fede pubblica, per cui fa piena prova sino a querela di falso. Tale elemento, di per sé particolarmente importante, lo diventa ancora di più in sede giudiziaria, qualora si intende contestare le dichiarazioni che godono di tale fede privilegiata, e/o quelle che ne sono prive, e che possono essere smentite semplicemente provando il contrario, senza la necessità di sporgere querela.
L’esigenza suesposta può concretizzarsi anche in sede di opposizione a sanzione amministrativa (ad es. multa per infrazione del Codice della Strada), in merito alla quale le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 17355/2009, premettendo che il verbale è a tutti gli effetti “atto pubblico”, hanno stabilito che sono certamente da considerare al rango di piena prova: la provenienza del documento; le dichiarazioni delle parti; i fatti avvenuti in presenza del P.U.; gli atti dallo stesso compiuti.
Restano esclusi dal valore di piena prova: le valutazioni del P.U.; gli apprezzamenti personali, anche se relativi a fatti accaduti in sua presenza.
Proprio in virtù di quanto sopra, sarebbero preordinate le norme che “tipizzano” il verbale , obbligando il P.U. a esporre in forma sommaria il fatto e ad indicare gli estremi precisi e dettagliati della violazione.
Va altresì preso atto che la stessa Suprema Corte conferma l’obbligo per il P.U. di descrivere “le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, dando conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione”.

martedì 1 dicembre 2009

Il coniuge è immaturo? Il matrimonio può essere dichiarato nullo

Molti se ne saranno accorti, ma i tempi sono decisamente cambiati, e i vincoli matrimoniali si sciolgono con sempre maggiore frequenza.
Per far dichiarare nullo il matrimonio celebrato con il rito religioso e trascritto nel registro italiano dello stato civile, è possibile sia adire il giudice italiano che rivolgersi al Tribunale Ecclesiastico per ottenere una sentenza i cui effetti civili sono subordinati alla pronuncia della Corte d’Appello (sentenza di delibazione) tesa a verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge italiana.
Con sentenza n. 19808, del 15 settembre 2009, i Giudici della Cassazione hanno ribadito quanto già stabilito dalla stessa corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 19809/2008, disponendo che il riconoscimento dell'efficacia della sentenza straniera è condizionato alla mancanza di incompatibilità con l'ordine pubblico interno che è assoluta e relativa rispetto a tutti gli Stati, mentre è solo assoluta per le sentenze ecclesiastiche. Sulla base di ciò, la Cassazione ha statuito che la sentenza ecclesiastica che dichiari nullo il matrimonio per immaturità del coniuge non vìola l’ordine pubblico italiano, e dunque può essere dichiarata efficace nell’ambito del nostro ordinamento, in quanto la situazione di vizio psichico ("ob defectum discretionis iudicii") da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell'ordinamento italiano (Cass. 1988/4710; 1997/3002. In senso conforme, cfr. Cass. 1987/5822; 2000/4387; 2006/10796). E il contrasto con tali principi non si rende ravvisabile neppure sotto il profilo dei difetto di tutela dell'affidamento della controparte. Infatti, al riguardo, è sufficiente rilevare che, mentre la disciplina generale dell'incapacità naturale da rilievo, in tema di contratti, alla buona o alla mala fede dell'altra parte (art. 428 c.c., comma 2), tale aspetto si rende invece del tutto ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale vista quale causa di invalidità del matrimonio, essendo preminente, in tal caso, l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico (Cass. 1997/3002).

In caso di ricostruzione vanno rispettate le distanze imposte dal vigente piano regolatore

I proprietari di fondi confinanti sui quali non insista alcun fabbricato, sono titolari del cosiddetto diritto di prevenzione, che consente a ciascuno di essi di costruire per primo scegliendo la posizione del nuovo fabbricato tra le seguenti opzioni: confine, distanza da esso di tre metri - o quella maggiore prevista dal piano regolatore -, o della metà, costringendo così il vicino ad adattarsi alla scelta operata.
Può porsi, pertanto, il dubbio se tale diritto persista in caso di ricostruzione dell’edificio, consentendo al proprietario di collocare il nuovo manufatto nella medesima posizione, o se venga meno, imponendo al proprietario di riedificare rispettando il nuovo piano regolatore o le distanze prescritte dall’esistenza del fabbricato nel fondo confinante.
Su tale problematica, i Giudici della sez. II della Cassazione civile, con sentenza n. 2563 del 2 febbraio 2009, hanno stabilito che chi ricostruisce non può sottrarsi al rispetto delle nuove norme del regolamento edilizio che fissa determinate distanze tra le costruzioni, poiché le stesse sono poste non soltanto nell'interesse del proprietario frontista, ma anche a beneficio dell’urbanistica in generale; posto che tale problema si deve ritenere insussistente qualora sia lo stesso piano regolatore a stabilire esplicitamente il rispetto delle distanze anche in caso di ricostruzione.