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giovedì 17 giugno 2010

Illegittima la revisione della patente se effettuata in pendenza di un ricorso amministrativo

Prendendo lo spunto da un caso in cui un’automobilista impugnava, chiedendone ed ottenendone l'annullamento, il provvedimento di revisione della patente di guida per esaurimento del punteggio di 20 punti, in quanto assunto e notificatogli nonostante la pacifica pendenza del ricorso proposto, e tra l'altro mai riscontrato, avverso il verbale che provvedeva alla decurtazione degli ultimi punti in dotazione, il T.A.R. Campania, Napoli, con sentenza del 26 maggio 2010, n. 9185, ha stabilito che l'atto di revisione della patente di guida, in quanto avente carattere provvedimentale, è affetto da nullità qualora adottato in un tempo antecedente la conclusione dell'iter procedimentale dei ricorsi amministrativi ammessi dalla legge e che, pertanto, sono illegittime le determinazioni assunte in sede di revisione della patente di guida ove, come nella specie, il procedimento giurisdizionale o amministrativo instaurato dall'interessato avverso le sanzioni a suo carico emesse sia ancora pendente e tutt'altro che definito.

La comunicazione della perdita dei punti patente non può essere “cumulativa”

Con sentenza del 26 maggio 2010, n. 1670, il T.A.R. Lombardia, ha chiarito che l'art. 126 bis del D.Lgs. n. 285 del 1992, come introdotto dal D.Lgs. n. 9 del 2002, disciplina l'istituto della “patente a punti” e impone, in particolare, all'organo da cui dipende l'agente accertatore della violazione di comunicare all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, entro trenta giorni dall'avvenuta contestazione, la variazione del punteggio. A sua volta grava sull'Anagrafe l'onere di comunicare all'interessato la variazione del punteggio onde consentirgli di frequentare gli appositi corsi di aggiornamento al fine di riacquisire i punti persi. In relazione ai summenzionati corsi, peraltro, è bene specificare che il D.M. del 29 luglio 2003 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha statuito, innanzi tutto, che la relativa iscrizione non è possibile se non si è ricevuta la comunicazione de quo e che non è consentito frequentare due corsi contemporaneamente o, comunque, più di un corso per ogni decurtazione di punteggio. Siffatto quadro normativo, quindi, è incompatibile con la possibilità di comunicare in maniera cumulativa e riepilogativa tutte le decurtazioni subite dal soggetto in un'unica soluzione senza consentirgli, in termini pratici, di attivarsi per tempo per il recupero, mediante la frequentazione degli appositi corsi, del punteggio via via perso. E', in conclusione, illegittimo per violazione di legge, e deve essere, conseguentemente, annullato, il provvedimento di revisione della patente di guida il cui presupposto sia stata una comunicazione in ordine alla perdita di un certo numero di punti operata in modo cumulativo, ovvero accorpando diverse e successive violazioni rispetto alle quali, invece, nessun avviso formale è stato notificato singolarmente al conducente.

martedì 1 giugno 2010

Segnalazione dei debitori alla Centrale Rischi: la Cassazione pone dei “paletti” alle Banche

Un’importante sentenza della Cassazione interviene sulla problematica, acutizzata dall’attuale crisi economica, della segnalazione alla Centrale Rischi dei debitori inadempienti ad opera delle Banche.
Con la decisione adottata il 24 maggio 2010, n. 12626, infatti, gli Ermellini hanno stabilito che deve essere escluso lo stato di insolvenza, ovvero la sussistenza di una situazione ad esso equiparabile, che legittima l'invio della segnalazione alla Centrale Rischi istituita presso la Banca d'Italia, qualora lo stesso sia stato dedotto da elementi non idonei a valutare compiutamente la capacità finanziaria dei soggetti ed enti di cui è stato dichiarato. Rilevato, infatti, che la dichiarazione di stato di insolvenza deve essere frutto di una valutazione negativa della situazione patrimoniale, valutazione oggettiva di grave e non transitoria difficoltà economica e incapacità finanziaria, non è legittimo far pervenire la relativa segnalazione alla Centrale Rischi fondando detta dichiarazione sull'apprezzamento generico dei bilanci societari, anche se in perdita da diversi anni, nonché sulla sussistenza di esposizioni della medesima società nei confronti di altri Istituti di Credito. Risultano di contro elementi idonei ad escludere siffatta valutazione l'operatività sul mercato dell'impresa, il fatto che la stessa sia titolare di un patrimonio immobiliare ed in attrezzature ben superiore al credito vantato dall'Istituto bancario segnalatore e l'assenza di procedure esecutive o elevazioni di protesti. Deve peraltro essere rilevato che è onere di ciascun Istituto bancario, indipendentemente da ogni ulteriore ed approfondita indagine relativa alla capacità finanziaria dei propri clienti in presunta sofferenza, compiere, ricorrendo allo stesso sistema informativo della Centrale, accertamenti relativi ad elementi sintomatici dello stato di insolvenza quali la revoca degli affidamenti, l'emissione di decreti ingiuntivi, la sussistenza di azioni di recupero di crediti, pignoramenti, protesti, procedure esecutive in corso. L'omissione in ordine all'esecuzione di detto tipo di attività preliminare da parte dell'Istituto bancario che, come detto, abbia fondato la propria segnalazione solo su una superficiale valutazione dei bilanci e delle esposizioni del cliente, connota il comportamento dello stesso come imprudente e tecnicamente imperito.

Il pagamento in misura ridotta della contravvenzione non consente la successiva impugnazione

Con sentenza del 26 maggio 2010, n. 12899, la Cassazione ha statuito che in materia di violazioni al codice della strada, il c.d. "pagamento in misura ridotta" di cui all'art. 202, D.Lgs. n. 285 del 1992 (Codice della Strada), corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge, da parte di colui che è indicato nel processo verbale di contestazione come autore della violazione, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità e, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche ai fini di deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale, quest'ultima esperibile immediatamente anche avverso il suddetto verbale ai sensi dell'art. 204 bis C.d.S., qualora non sia stato effettuato il suddetto pagamento. L'intervenuta acquiescenza da parte del contravventore conseguente a tale sopravvenuto rituale pagamento preclude, inoltre, allo stesso l'esercizio di eventuali pretese civilistiche, quali la "condictio indebiti" e l'"actio damni" riconducibili all'avvenuta contestazione delle violazioni al C.d.S. per le quali si sia proceduto a siffatto pagamento con effetto estintivo della correlata pretesa sanzionatoria amministrativa.

Il concorso di colpa nella determinazione di un sinistro stradale, non esclude un diverso obbligo risarcitorio

Succede sovente che i sinistri stradali siano frutto della guida poco accorta di tutti gli automobilisti che ne restano vittima. Il cosiddetto concorso di colpa, in questi casi, non determina sempre un obbligo risarcitorio “salomonico”, ovvero identico per tutte le vittime e dunque compensato tra le stesse.
E’ questa, infatti, l’opinione della Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n. 10193, del 28/04/2010, ha affermato sul punto che non si viola l’art. 2054 c.c., (presunzione di concorso di colpa) con l’escludere il paritetico apporto causale dei conducenti, benché i comportamenti di entrambi fossero stati considerati cause efficienti dell’evento, non essendo incompatibile con la causalità che ciascuna causa incida con efficienza diversa al verificarsi dell’evento e che, dunque, ai fini risarcitori siano percentualmente graduabili i rispettivi apporti determinativi, benché l’evento non si sarebbe verificato se anche una soltanto di esse fosse mancata.