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venerdì 30 aprile 2010

Multe: Sulla decurtazione dei punti decide il Tribunale

Con sentenza n. 9691 del 23 aprile 2010, le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che spetta all’Autorità giudiziaria ordinaria la decisione sulla irregolare decurtazione dei punti della patente in pendenza del giudizio sulla legittimità della multa, precisando che «la decurtazione dei punti di patente costituisce una sanzione amministrativa conseguente la violazione di norme sulla circolazione stradale. In particolare va osservato che il meccanismo di sottrazione dei punti dalla patente di guida per effetto dell’accertamento dell’avvenuta violazione del codice della strada costituisce una misura accessoria alle relative sanzioni: ne consegue che il contenzioso relativo all’applicazione di tale sanzione accessoria, nell’ambito del quale devono ricomprendersi anche le questioni relative all’erronea decurtazione del punteggio, deve ricondursi alla giurisdizione del giudice competente in materia ai sensi degli artt. 204-bis e 205 d.lgs. n. 285/1992, come confermato anche dall’art. 216, co. 5, d.lgs. n. 285/1992, relativo alle opposizioni proponibili avverso la ulteriore misura accessoria della sospensione della patente».

mercoledì 28 aprile 2010

Termine per impugnare il licenziamento: rileva il momento della spedizione e non quello della ricezione

Con la sentenza in oggetto le Sezione Unite della Cassazione sono intervenute sulla efficacia dell’impugnazione del licenziamento operata dal lavoratore entro i 60 gg previsti dalla legge n. 604 del 1966, ma pervenuta al datore di lavoro successivamente, risolvendo la problematica in senso favorevole al lavoratore.
Infatti, con sentenza del 14/04/2010, n. 8830, gli “Ermellini” hanno osservato che l'impugnazione del licenziamento, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 604 del 1966, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre il termine menzionato, atteso che, in base ai princìpi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale -l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio -idoneo a garantire un adeguato affidamento- sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa (art. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole equilibrio degli interessi coinvolti.

giovedì 22 aprile 2010

Il condomino può apporre targhe e insegne sulla facciata dell’edificio?

L’apposizione sulla facciata dell'edificio condominiale di targhe, insegne pubblicitarie e cartelli per dare risalto alla propria attività professionale o commerciale costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune poiché non ne altera la naturale e specifica destinazione di sostegno dell'edificio condominiale, sempre che non impedisca agli altri condomini di fare uguale uso del muro (Cass. 21/08/2003, n. 12298).
Tuttavia, ostacoli potrebbero derivare dal regolamento di condominio di natura contrattuale, qualora prevedesse norme che accolgono una nozione più severa di “decoro architettonico”, impedendo qualsiasi mutamento dei muri perimetrali e dell'aspetto generale dell'edificio.
Fatta salva quest’eccezione, gli unici divieti esistenti sono solo quelli sanciti dall'art. 1102 c.c., il quale consente al condomino di servirsi delle parti comuni dell’edificio a condizione che non impedisca agli altri un uso conforme ai loro diritti.
Il diritto spettante al proprietario, inoltre, è riconosciuta anche al conduttore dell’immobile dato in locazione, il quale ha la facoltà di apporre sul muro perimetrale dell'edificio targhe e insegne, sempre che ciò non sia stato escluso da apposita clausola contenuta nel contratto di locazione (Cass. 3/12/2002, n. 17156).
Infine, al pari di qualunque altra atto che dovesse ingenerare conflitto tra tutti o alcuni dei condomini, qualora la richiesta di apporre targhe o insegne dovesse pervenire da più condomini, è l'assemblea che ha il dovere di intervenire al fine di eliminare possibili conflitti, prescindendo da chi abbia utilizzato per primo la facciata condominiale e disponendo i criteri che dovranno essere adottati anche in futuro.

lunedì 19 aprile 2010

Sono nulle le multe senza sottoscrizione autenticata dell'agente accertatore

Con sentenza del 18 gennaio 2010, n. 8190, il Giudice di Pace di Lecce osserva che la normativa del vigente Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992) e del relativo regolamento (D.P.R. n. 495/1992) stabilisce all'art. 385, comma 3°, che il verbale redatto dall'organo accertatore rimane agli atti dell'Ufficio o Comando, mentre ai soggetti ai quali devono essere notificati gli estremi viene inviato uno degli originali o copia autenticata a cure del responsabile dello stesso Ufficio o Comando; invece, nel caso di verbali redatti con sistemi meccanizzati o di elaborazione dati, essi sono notificati con il modulo prestampato recante l’intestazione dell'Ufficio o Comando predetti.
Il sistema di contestazione, dunque, è diverso, in quanta contempla l'invio di uno degli originali del verbale redatto dall'organo accertatore, oppure di copia autenticata, dalla quale deve, dunque, risultare (ancorchè come meramente riprodotta nella copia medesima) la sottoscrizione dell'agente accertatore, giusta Ia previsione di cui al comma 4° dell'art. 385 D.P.R. n. 495/1992, che — a sua volta — fa espresso riferimento al precedente art. 383, il cui comma 4° testualmente statuisce: Il verbale deve in genere essere conforme al modello allegato, e fa parte integrante del presente regolamento, se redatto con sistemi meccanizzati o di elaborazione dati, deve riportare le stesse indicazioni contenute nel modello", compresa, naturalmente, la sottoscrizione dell'agente accertatore, come si ricava agevolmente dal fac-simile di modello allegato al regolamento d'esecuzione del Codice della Strada.
Né tale disciplina può ritenersi odiernamente modificata da quanto stabilito dall'ultimo periodo dell'art. 3, comma 2; L. 39/1993 (Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l'apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile), stante l'entrata in vigore dell'art.15 L: 59/1997 e dei regolamenti attuativi in esso previsti, secondo i quali la firma a stampa, in sostituzione di quella autografa, può essere apposta solo per gli atti che non richiedano alcuna previa valutazione e non anche per gli atti che debbano essere motivati in relazione alle particolarità del caso concreto, come nei verbali di accertamento e contestazione di violazioni al Codice della Strada (Cass. Civ., Sez. I, 28/12/2000, n. 16204 — conformi: Cass. Civ., Sez. I, 03/03/1998, n. 2341; Cass. Civ., Sez. I, 07/05/1999, n. 4567).
E' ormai concetto consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. IIi, 15/04/1999, n. 3741; Cass. Civ., Sez. I, 26/06/1992, ti 8031; Cass. Civ., Sez. I, 29/12/1989, n. 5826) che, dinanzi alle contestazioni dell'opponente, è onere dell'ente opposto fornire prova della legittimità del suo operato e della fondatezza della sua pretesa.

venerdì 16 aprile 2010

La concessione edilizia può essere impugnata anche dal “vicino”!

Con Decisione del 16/03/2010, n. 1535, il Consiglio di Stato ribadisce che secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Pertanto, è irrilevante il fatto che la proprietà dei ricorrenti sia separata da un tratto di strada pubblica o non sia direttamente confinante con l'area interessata all'intervento - essendo evidente che la condizione di stabile collegamento tra gli immobili non postula necessariamente la loro adiacenza, ma ne presuppone la semplice prossimità – risultando sufficiente che almeno un lato della proprietà degli stessi ricorrenti si collochi nelle immediate vicinanze dell'impianto interessato alle opere per cui è causa.
L'interpretazione dell'art. 7, L. n. 241 del 1990 non può non prendere le mosse dal fatto che tale norma non circoscrive affatto l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento ai soli destinatari dei provvedimenti che l'Amministrazione si accinge ad emanare - soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti - o a coloro che siano comunque implicati nella procedura - quelli che per legge debbono intervenirvi, ma lo estende anche ai soggetti, individuati o facilmente individuabili, che dai suddetti provvedimenti possano ricevere pregiudizio.

giovedì 15 aprile 2010

A chi pagare il canone dell’immobile promesso in vendita?

Successivamente a forti contrasti giurisprudenziali e dottrinali, la Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite sull’esecutività o meno della sentenza di primo e secondo grado posta in essere in adempimento del contratto preliminare avente ad oggetto un immobile, con l’importante corollario del pagamento dei canoni di locazione dello stesso bene.
Infatti, con la sentenza del 22 febbraio 2010, n. 4059, uniformandosi alla pronuncia del 6/4/2009 n. 8250, i Supremi Giudici hanno chiarito che la sentenza che dispone l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, ex art. 2932 c.c., produce i propri effetti solo dal momento del passaggio in giudicato; ne consegue che, quando detta sentenza abbia subordinato l'effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, l'obbligo di pagamento in capo al promissario acquirente non diventa attuale prima dell'irretrattabilità della pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione corrispettiva destinata ad attuare il sinallagma contrattuale.
Ciò in quanto non è riconoscibile l’esecutività provvisoria, ex art. 282 cod proc. civ., del capo decisorio relativo al trasferimento dell’immobile contenuto nella sentenza di primo grado resa ai sensi dell’articolo 2932 c.c., né è ravvisabile l’esecutività provvisoria della condanna implicita al rilascio dell’immobile in danno del promittente venditore, scaturente dalla suddetta sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento dell’immobile, producendosi l’effetto traslativo della proprietà del bene solo dal momento del passaggio in giudicato di detta sentenza con la contemporanea acquisizione al patrimonio del soggetto destinatario della pronuncia. Ne consegue che qualora l’immobile sia oggetto di locazione, il conduttore è obbligato a pagare il canone al promittente venditore sino a quando la sentenza che sostituisce il contratto definitivo passa in giudicato.

Le domande di riduzione del prezzo e di eliminazione del vizio sono compatibili con il preliminare

Con sentenza del 26 gennaio 2010, n. 1652, la Cassazione conferma i principi più volte affermati dalla stessa Corte ribadendo l'autonomia della domanda di riduzione del prezzo nell’ambito del contratto preliminare di vendita, nel caso che la cosa sia affetta da vizi, in quanto il promissario acquirente che non voglia domandare la risoluzione del contratto, può agire contro il promittente per l'adempimento, chiedendo, anche disgiuntamente dall'azione prevista dall'art. 2932 c.c., l'eliminazione dei vizi, oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo.
Tali due azioni, infatti, mirando entrambe ad assicurare, in modo alternativo tra loro, il mantenimento dell'equilibrio del rapporto economico di scambio previsto dai contraenti, costituiscono mezzi di tutela di carattere generale che, in quanto tali, devono ritenersi utilizzabili anche per il contratto preliminare, non rinvenendosi nel sistema positivo, né in particolare nel disposto dell'art. 2932 c.c., ragioni che impediscano di estendere anche a tale tipo di contratto la tutela stabilita, a favore della parte adempiente dai principi generati in tema di contratti a prestazioni corrispettive. La pronunzia del giudice assume in tal caso la funzione di un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni, rivolto ad assicurare che l'interesse del promissario acquirente alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente venditore (tra le tante, sentenze 2175/2008 n. 12852; 15/12/2006 n. 26943; 29/10/2003 n. 16236; 17-4-2002 n. 5509; 3-1-2002 n. 29; 8-10-2001 n. 12323; 19-12-2000 n. 15958; 19-4-2000 n. 5121).
Va altresì aggiunto che, come precisato nella giurisprudenza di legittimità, in materia di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma del rispetto dell'esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso per struttura e funzione da quello considerato e promesso e che pertanto in presenza di difformità non sostanziali, non incidenti sull'effettiva utilizzabilità del bene, ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell'accettazione senza riserva della cosa viziata o difforme, ma può esperire l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell'art. 2932 c.c. chiedendo cumulativamente e contestualmente l'eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo (sentenze citate e 16/7/2001 n. 9636; 18-6-1996 n. 5615; 26-1-1995 n. 947; 24-11-1994 n. 9991; 26-4- 1993 n. 4895).

mercoledì 14 aprile 2010

Illegittimo il licenziamento per giusta causa senza preventiva contestazione dell’addebito

Con sentenza del 17 marzo 2010, n. 6437, la Cassazione pone un freno ai licenziamenti “facili” operando una corretta interpretazione della legislazione in materia, chiarendo che il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente anche dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa” (v. fra le altre Cass. 13-8-2007 n. 17652, Cass. S.U. 1-6-1987 n. 4823, Cass. S.U. 16-12-1987 n. 9302, Cass. 5-12-1989 n. 5365, vedi anche, fra le altre, sulle conseguenze della violazione delle dette garanzie, Cass. S.U. 26-4-1994 n. 3965, Cass. 19-6-1998 n. 6135 e Cass. 12-4-2003 n. 5855). La mancanza di detta preventiva contestazione, pertanto, causa la nullità del licenziamento e il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno.

Requisiti per l’assoggettabilità IRAP e nullità della cartella non notificata

La Commissione tributaria regionale Abruzzo, con Sentenza dell’08/01/2010, n. 3, si pronuncia in materia di notifica della cartella esattoriale e sui requisiti che deve possedere un lavoratore autonomo per essere assoggettato all’IRAP, disponendo che lo scopo proprio della notifica della cartella di pagamento, non preceduta dalla notifica dell'avviso di accertamento, e' quello di portare a conoscenza del contribuente che l'Ufficio finanziario ha accertato nei suoi confronti un maggior credito d'imposta di cui chiede il pagamento, e non quello di porre il contribuente nelle condizioni di ricorrere avverso tale accertamento, anche se ne costituisca un antecedente.
La notifica rituale, in quanto effettuata ai sensi degli articoli 26, D.P.R. n. 602/1973 e 60, D.P.R. n. 600/1973, è una fase essenziale del perfezionamento dell’atto e, pertanto, l’atto amministrativo non notificato al domicilio risultante dalla dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta di pertinenza va ritenuto giuridicamente inesistente con conseguente prescrizione del credito d’imposta e decadenza dal diritto a richiederne il pagamento al contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria, in caso di scadenza dei termini di legge.
Inoltre, la proposizione del ricorso ad opera del contribuente avverso tale atto non sana il vizio per raggiungimento dello scopo (ovvero la conoscenza dell’atto), in quanto la sanatoria prevista dall'art. 156 e seguenti c.p.c. vale solo per gli atti processuali e non per quelli sostanziali come gli atti impugnabili nel processo tributario, tra i quali rientra la cartella di pagamento.
La Commissione Tributaria Regionale, infine, entra nel merito ribadendo l’orientamento giurisprudenziale avallato dalla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, e riguardante i presupposti per l’assoggettamento all’IRAP, chiarendo che il requisito della “autonoma organizzazione” del lavoratore autonomo diverso dall’impresa commerciale è integrato quando il contribuente sia responsabile dell’organizzazione ed eserciti l’attività con impiego di beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività auto-organizzata oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui.
La sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione è oggetto di valutazione, caso per caso, da parte del giudice di merito, ed è onere del contribuente, in sede di istanza di rimborso dell’imposta non dovuta, fornire la prova dell’assenza dei presupposti impositivi dell’IRAP.

martedì 13 aprile 2010

Accertamenti fiscali su conti correnti: il contribuente deve provare che le operazioni non sono imponibili

Una nuova decisione della Cassazione conferma il regime più gravoso dell’onere probatorio a carico del contribuente, e si pone così nel medesimo solco di precedenti pronunce della stessa Corte e dei Giudici Tributari.
Con sentenza del 31 marzo 2010, n. 7813, infatti, gli Ermellini ribadiscono che in tema di processo tributario si opera un'inversione dell'onere della prova, che viene, appunto, spostato sul contribuente nei confronti del quale sia in corso un accertamento tributario fondato su verifiche inerenti conti correnti bancari. In siffatta ipotesi, infatti, spetta al contribuente dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non riguardano operazioni imponibili mentre, l'ufficio finanziario accertante assolve ai propri oneri probatori semplicemente allegando dati ed elementi risultanti dai nominati conti bancari.

Il contratto assicurativo “senza rischi” per l’assicuratore è nullo.

E’ noto che alcune assicurazioni redigono dei contratti in modo da ridurre fortemente il rischio a loro carico. Proprio su questo argomento si è recentemente pronunciata la Cassazione che ha stabilito la nullità di tali contratti.
Infatti, con sentenza del 07/04/2010, n. 8235, i Supremi Giudici chiariscono che nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti delineati dall'art. 1341 cod. civ. (con conseguente sottoposizione delle stesse alla necessaria e specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all'oggetto del contratto, e non sono perciò, assoggettate al regime previsto dal secondo comma di detta norma, le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito.
Nella fattispecie in esame, sotto il titolo "delimitazione dell’assicurazione - esclusioni”, non si ricomprendono nel rischio assicurato “i danni provocati da condutture ed impianti sotterranei in genere, a fabbricati ed a cose in genere dovuti ad assestamento, cedimenti, franamento o vibrazioni del terreno da qualsiasi causa determinati”.
Un’ampia casistica di esclusione della responsabilità e di attività ipotizzabili nell’esercizio di impresa edile, sì da risultare la stessa clausola finalizzata non ad una consentita “specificazione” del rischio contrattuale bensì ad una non corretta esclusione in toto dì quest’ultimo, incide in concreto negativamente sulla sussistenza della causa del contratto di assicurazione, che è destinato proprio a garantire i rischi collegati all’attività imprenditoriale in questione.
Pertanto, configura una non consentita limitazione di responsabilità, ex art. 1229 c.c. la clausola di un contratto assicurativo che, nell’escludere l’assicurazione del relativo rischio, ipotizza (come nel caso di specie, con l’espressione testuale “da qualsiasi causa determinati”) in modo ampìo ed indiscriminato la non “comprensione” dei danni nell’oggetto del contratto stesso.

lunedì 12 aprile 2010

Fisco: a carico del contribuente esiste un onere della prova più rigoroso

La Commissione Tributaria regionale Lazio, con Sentenza del 27/01/2010, n. 9, ha disposto che la rigorosità dei criteri di cui agli studi di settore rende l'onere della prova particolarmente rigido a carico del contribuente. Infatti, una volta dimostrata come corretta la metodologia di calcolo applicata (attraverso gli studi di settore), devono sussistere comprovate ragioni specifiche per ritenere superato nel quantum l'accertamento e ritenere giustificata da ragioni obiettive, direttamente incidenti sulla produzione del reddito, la differenza fra quanto dichiarato dal contribuente e quanto invece accertato in sede induttiva
La documentazione allegata dal contribuente (ad esempio: copia del modello CUD per l'annualità contestata, copia dello scioglimento della società di fatto che gestiva l'attività e copia della dichiarazione di inizio e cessazione dell'attività, più le fatture emesse per la stessa annualità), pertanto, può non essere idonea a far ritenere esperito con successo l'onere della prova, particolarmente rigido, posto a carico del contribuente.

Indennità per eccessiva durata dei processi: sussiste anche per la parte soccombente e in caso di lite collettiva

Con sentenza del 2 aprile 2010, n. 8179, la Cassazione ha stabilito che la sofferenza morale prodotta nelle parti dall'eccessivo protrarsi del processo va riconosciuta anche nel caso di lite promossa collettivamente, nel caso di specie in corrispondenza ad una rivendicazione di categoria di taglio sindacale, così come l'esito sfavorevole della lite non esclude il diritto all'equa riparazione per il ritardo, se non nei casi in cui sia ravvisabile un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla legge n. 89 del 2001 (indennità per l’eccessiva durata dei processi). Nè d'altra parte può gravarsi l'interessato di oneri di prova o specifica allegazione di circostanze a sostegno della deduzione del sofferto danno morale, incompatibili con la presunzione di sussistenza di tale danno.

giovedì 8 aprile 2010

Privacy: illegittimo l’uso dei dati tratti dal P.R.A. per scopi pubblicitari

Successivamente alle numerose segnalazioni che denunciavano la pratica di alcune imprese di trarre dal Pubblico Registro Automobilistico i dati personali per fini promozionali, il Garante della Privacy è intervenuto sulla problematica con il provvedimento dell’11/03/2010, n. 1709295 dichiarandola contraria alla legge.
L’autorità citata, infatti, ha dichiarato legittimo l'utilizzo, senza il consenso degli interessati, dei dati personali provenienti dal Pubblico Registro Automobilistico, ove effettuato dalle società del settore automobilistico e dalle società private di ricerche e consulenze economico-sociali per inviare comunicazioni di particolare interesse per gli utenti, ivi comprese quelle concernenti l'imminente scadenza delle revisioni auto e quelle relative ad attività di ricerca economico-sociale o statistica;
nel contempo, però, ha ritenuto vietato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 144 e 154, comma 1, lett. d) del Codice, alle società del settore automobilistico ed alle società private di ricerche e consulenze economico-sociali di trattare ulteriormente i dati personali acquisiti presso il Pubblico Registro Automobilistico per finalità di comunicazione commerciale e per l'invio di materiale pubblicitario, in assenza di consenso dell'interessato.

Ripartizione spese condominiali: quando le delibere sono nulle o annullabili

Con sentenza del 19 marzo 2010, n. 6714, la Cassazione interviene ancora una volta sull’argomento in oggetto, disponendo che in materia di delibere condominiali aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con le quali l'assemblea stabilisce o modifica i criteri di ripartizione in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale - essendo in tal caso necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini - dalle delibere con le quali vengono in concreto ripartite le spese medesime, poiché soltanto queste ultime, qualora adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione deve essere proposta nel termine di decadenza di trenta giorni.
Infatti, l'adozione di criteri diversi da quelli previsti dalla legge o dal regolamento contrattuale, incidendo sui diritti individuali dei singoli condomini, può essere assunta soltanto con una convenzione alla quale aderiscano tutti i condomini, non rientrando nelle attribuzioni dell'assemblea che concernono la gestione delle cose comuni.

Indennità di rischio radiologico: ecco a chi spetta

L’indennità di rischio radiologico in misura piena spetta al personale medico e tecnico di radiologia appartenente alle amministrazioni pubbliche e private.
Con l’interpello del 02/04/2010, n. 6, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risponde al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro in merito all’aumento dell’indennità di rischio radiologico, previsto dall’art. 1, comma 2, della L. n. 460/1988, specificando che la Corte costituzionale (sentenza del 20 luglio 1992 n. 343) ha inteso la disposizione suddetta nel senso che l’indennità piena deve riconoscersi “anche a quei lavoratori che, pur non appartenendo al settore radiologico, sono esposti ad un rischio non minore, per continuità ed intensità, di quello sostenuto dal personale di radiologia”.
Si vuole, sostiene la Corte Costituzionale, differenziare il personale sottoposto con continuità al rischio da quello esposto in modo discontinuo, a rotazione o temporaneo, rendendo necessario un nuovo accertamento della commissione (art. 58, comma 4, del D.P.R. n. 270/1987).
Pertanto, su un piano generale ed astratto, al personale estraneo alla struttura di radiologia che, per le mansioni in concreto espletate, è sottoposto in maniera continuativa e permanente alle radiazioni nocive, compete la medesima indennità prevista per il personale di radiologia.
L’unica diversità che residua nei rapporti tra il personale di radiologia ed il personale diverso che è concretamente esposto in maniera continua e permanente al rischio è costituita dunque dal regime probatorio. Mentre per il primo è necessaria e sufficiente la qualifica rivestita, cui l’ordinamento collega una presunzione assoluta circa l’esposizione al rischio, per il secondo è indispensabile un accertamento sulle situazioni concrete (modalità, tempi, orari ed intensità dell’esposizione), ad opera della citata commissione.
Pertanto il riconoscimento del diritto all’indennità in misura piena deve “passare” per il settore pubblico, fatta eccezione per il personale tecnico di radiologia, attraverso il filtro degli “organismi e commissioni operanti a tal fine nella sede aziendali in base alle vigenti disposizioni”, al fine di verificare se il singolo dipendente sia, in via di fatto, esposto in maniera continuativa e permanente al rischio radiologico, non solo sulla base della qualifica, ma dell’effettiva esposizione a rischio da radiazione.
Nel settore privato il riconoscimento all’indennità sussiste per i lavoratori che, sulla base degli accertamenti compiuti dall’esperto qualificato (paragrafo 5 dell’Allegato III del D.Lgs. n. 230/1995 e ss.mm.), sono classificati in categoria A e quindi suscettibili di superare, in un anno solare, il valore di 6 mSv di dose efficace.
La demarcazione posta dall’art. 61 del CCNL sanità privata tiene conto della diversa frequenza di esposizione esistente fra personale esposto in categoria “A” e “B” tenuto conto che la durata all’esposizione e le modalità lavorative risultano fattori determinanti per la quantificazione del livello di dose assorbito e quindi del livello di rischio espositivo. Nel settore pubblico tale valutazione deve essere posta dagli organismi individuati a norma dell’art. 5 del contratto collettivo nel rispetto dei principi definiti dalla norma statale.

martedì 6 aprile 2010

L’assegno postdatato con bollo irregolare non è titolo esecutivo

L'assegno postdatato, non ammesso nel nostro ordinamento, usurpa le funzioni proprie della cambiale e sfugge alla relativa tassa sul bollo.
Con sentenza 3 marzo 2010, n. 5069, la Cassazione ha chiarito che all’assegno con bollo irregolare (in quanto postdatato), non può essere riconosciuta natura di titolo esecutivo, nemmeno se lo stesso successivamente venga regolarizzato sotto il profilo fiscale.
Del resto, il principio della necessità dell'originaria osservanza della legge sul bollo, ai fini del riconoscimento come titolo esecutivo dell'assegno bancario (oltre che della cambiale e del vaglia cambiario), è sancito espressamente dall'art. 20 del D.P.R. 26.10.1972 n. 642 il quale, fra l'altro, dispone, al terzo comma, che la relativa inefficacia deve essere rilevata d'ufficio dai giudici, conformemente a quanto prevedeva il terzo comma dell’art. 118.
Infatti, se è vero che la postdatazione non induce, di per sé, la nullità dell'assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto (di postdatazione) per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento (v. anche Cass. 6.6.2006 n. 13259; Cass. 25-5-2001 n. 71359); è altrettanto vero - per le ragioni esposte - che lo stesso non può valere, però, come titolo esecutivo.