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giovedì 30 settembre 2010

Assegno “familiare” per il figlio naturale: la posizione della Cassazione

I Giudici Supremi della Sezione Lavoro, con sentenza del 18 giugno 2010, n. 14783, si sono pronunciati sui beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare chiarendo che esso, istituito e regolato dal D.L. n. 69 del 1988, spetta ai lavoratori dipendenti privati e pubblici, oltre ai pensionati, ed è commisurato al numero di componenti del nucleo familiare oltre che, ovviamente, all'entità del reddito percepito dall'avente diritto. In applicazione dell'art. 38 del D.P.R. n. 818 del 1957, che specifica la composizione del "nucleo familiare", sono da considerare componenti dello stesso, tra gli altri, i figli naturali legalmente riconosciuti che, ai sensi dell'art. 250 c.c., sono quelli riconosciuti nei modi indicati dall'art. 254 c.c. dal padre o dalla madre, anche se uniti in matrimonio con persona diversa all'epoca del concepimento. La condizione di figlio naturale riconosciuto, peraltro, per quanto qui rileva, non è assolutamente inficiata dall'assenza di inserimento nella famiglia legittima. Ebbene, la normativa sull'assegno familiare non richiede l'inserimento nell'ambito della famiglia legittima ma si limita a richiedere, ai fini del relativo riconoscimento, la condizione di figlio naturale per cui anche il soggetto coniugato e mai separato ma convivente con altra persona ha diritto alla percezione dell'assegno familiare per i figli naturali, minori, legalmente riconosciuti se prova che, essendo posti a suo carico, provvede al loro mantenimento.

Il T.A.R. Puglia si pronuncia sul termine d’impugnazione della licenza edilizia

Con Sentenza n. 2222 del 30 settembre 2009, il T.A.R. Puglia ha stabilito che in materia d’impugnazione di una concessione edilizia – ora p.d.c. – rilasciata a terzi, la decorrenza dei termini decadenziali di cui all’art. 21 legge n. 1034/71 scatta da quando la nuova costruzione riveli in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e la eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica. Ne consegue che il termine di impugnazione inizia a decorrere dal completamento dei lavori a meno che non si sostenga la assoluta inedificabilità dell’area o non si muovano analoghe censure, tali per cui risulta sufficiente la conoscenza della iniziativa in corso.
I Giudici “Pugliesi”, altresì, hanno ribadito che: se si fanno valere vizi concernenti la inedificabilità del terreno, il termine decorre da quando si ha conoscenza dell’iniziativa edificatoria (inizio dei lavori, apposizione del cartello di cantiere, etc.); mentre se si fanno valere vizi concernenti la conformità del titolo alla disciplina edificatoria locale o generale, il termine decorre dalla data di ultimazione dei lavori (ovvero, se antecedente, dalla data di piena conoscenza del titolo, avuta – ad esempio – tramite accesso agli atti amministrativi).
In ogni caso, la conoscenza tramite accesso agli atti amministrativi, pur rilevando come momento essenziale di percezione piena e completa della lesività del contenuto del provvedimento amministrativo, non può essere utilizzata quale attività – magari, reiterata – dal termine di espletamento della quale decorre l’eventuale impugnazione, posto che vi sono aspetti di lesione che si evidenziano già dai lavori in corso (si pensi al mancato rispetto delle normative in materia di distanze, aperture, etc.), ancorché i lavori non siano ultimati.