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lunedì 18 gennaio 2010

Studi di settore: la Cassazione si sofferma sulla loro efficacia probatoria

Com’è noto, gli studi di settore costituiscono un sistema volto ad agevolare l’attività accertatrice nel perseguire l’evasione fiscale, mediante la predisposizione di strumenti di ricostruzione per l’elaborazione statistica della normale redditività di determinate attività catalogate per settori omogenei.
Uno dei problemi che anima il contrasto tra l’ente accertatore e i contribuenti, è l’efficacia probatoria degli studi di settore, ovvero, la possibilità o meno per il contribuente di “giustificare” lo scostamento tra il reddito inferiore dichiarato (che costituisce l’effettiva basi imponibile) e quello presuntivamente ricavato mediante l’impiego di tale strumento.
Con sentenza n 26341, del 16 dicembre 2009, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli studi di settore, pur costituendo uno strumento raffinato di parametri, soprattutto perché la loro elaborazione prevede una diretta collaborazione con le categorie interessate, restano tuttavia una elaborazione statistica, che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice, come stabilito dall’art. 1, comma 14 bis, L.296/2006, a proposito degli indicatori di normalità economica che gli uffici devono utilizzare in attesa della revisione degli studi di settore.
In buona sostanza, gli studi di settore rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante. Lo scostamento deve testimoniare una grave incongruenza, tanto da legittimare l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore devono essere corretti in contraddittorio con il contribuente.
Si può affermare, pertanto, il principio di diritto secondo il quale la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata dalla legge in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione di questo suo atteggiamento), Esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, e il giudice può valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente.

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