Cerca su Google

Ricerca personalizzata

mercoledì 26 maggio 2010

La Cassazione riconosce al Fisco un potere inaspettato …

Con la sentenza del 19/05/2010, n. 12249, la Cassazione ha trattato il tema dell'abuso del diritto in ambito tributario ritenendo legittimo che il Fisco attribuisca a un contratto una natura giuridica diversa rispetto a quella adottata dalle parti.
I Supremi Giudici, infatti, hanno confermato l’abbandono del risalente suo orientamento (da ultimo, Cass. 5282/02), che precludeva all’Amministrazione finanziaria di rideterminare la natura di un contratto, prescindendo dalla volontà realmente manifestata dalle parti, ed hanno confermato, invece, il nuovo corso interpretativo che permette al Fisco, assumendone l’onere della prova, di esercitare il potere di riqualificare i contratti stipulati dalle parti o di farne rilevare la nullità o invalidità, in modo da dare ingresso ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello che consegue agli effetti dello schema contrattuale adottato dalle parti.
Tale principio, a detta dei giudici, si rinviene nel sistema costituzionale, così come già sostenuto dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 30055 e 30057/08, e pertanto si estende a tutte le forme di abuso del diritto, compresa quella in ambito fiscale.
Con questa impostazione sono contestabili dal Fisco, e comunque ad esso non opponibili, non solo i comportamenti fraudolenti derivanti dagli schemi negoziali che li configurino, ma anche quelli che comportano un abuso del diritto autonomo rispetto all’ipotesi di frode, aventi carattere meramente elusivo e quindi diretti a conseguire vantaggi di ordine fiscale in assenza di concrete e valide ragioni di natura economica. Connotazioni che possono rinvenirsi in qualsiasi atto negoziale, tipizzato o meno.
Secondo la Suprema Corte, inoltre, il divieto dell’abuso del diritto ricorre anche se il contratto è tipico ed è privo di concrete finalità illecite, oltre che voluto realmente dalle parti, assumendo rilevanza ed essendo solo richiesto che ricorrano oggettivi elementi che inducano a ritenere che si è fatto ricorso ad esso essenzialmente allo scopo di conseguire un vantaggio fiscale. La finalità non deve essere necessariamente esclusiva perché eventuali marginali e non determinanti ragioni economiche concorrenti non scalfiscono questa ricostruzione che fa ritenere l’utilizzo del contratto, tipico o atipico poco importa, come strumento per realizzare un abuso dello schema legale per conseguire finalità di elusione fiscale, essendo intento determinante delle parti quello di ottenere un abbattimento dell’onere fiscale.
L’elemento innovativo sta nell’estensione dell’applicazione dei principi sull’abuso del diritto anche ai contratti tipizzati dal codice civile, che, secondo un’opinione diffusa, non dovrebbero essere manipolabili, al contrario dei contratti atipici (tra tutti ad es. il leasing frazionato o il lease-back). Non è invece servito al contribuente invocare la tipicità del contratto e generici motivi di convenienza organizzativa per fornire la prova, rimessa a suo carico, che l’impiego dello strumento contrattuale in contestazione non aveva il fine essenziale di conseguire un risparmio di imposta.
Nella specie, l’uso del contratto tipizzato del comodato, ai fini della natura abusiva dell’operazione, è stato considerato inconsueto ed anomalo rispetto alla normale funzione di tale negozio giuridico, per cui la sua opponibilità al Fisco richiedeva una giustificazione rigorosa in rilevanti ed evidenti ragioni economiche del tutto sganciate dal trattamento fiscale che ne consegue, che deve costituire un elemento subordinato ed accessorio.
La libertà contrattuale, dunque, sembra fortemente compressa se il fine è quello di ottenere un maggiore risparmio fiscale e il Fisco potrà intervenire su qualunque operazione.
Il confine tra abuso di diritto e lecito risparmio d’imposta si assottiglia lasciando spazio al pericolo di maggiori accertamenti.

Nessun commento:

Posta un commento