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giovedì 6 maggio 2010

Condomino in conflitto d’interessi: è computato nei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea?

Con sentenza del 30 gennaio 2002, n. 1201, la Cassazione ha affrontato il problema di diritto se, nel condominio di edifici, nel caso di conflitto di interessi tra il condominio e taluni partecipanti, le maggioranze costituenti il quorum deliberativo debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell’intero edificio; ovvero soltanto ai condomini ed ai millesimi facenti capo ai singoli partecipanti, i quali non versano in conflitto di interessi relativamente alla delibera. Ovverosia, se dal numero dei condomini e dal valore dell’intero edificio (1.000 millesimi) debba essere detratta la quota, personale e reale, rappresentata dai condomini in conflitto di interessi per ciò che concerne la proposta messa ai voti.
In tema di condominio negli edifici, l’ipotesi del potenziale conflitto di interessi tra il condominio ed i singoli partecipanti non è regolata. Per disciplinarla, dalla giurisprudenza si richiama per analogia il disposto dell’art. 2373 c.c. dettato in tema di società di capitali, che stabilisce e l’obbligo di astensione del socio, il quale si trova in posizione di conflitto (comma 1), e l’impugnabilità della delibera “se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi alla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza” (comma 2). Il comma ultimo dello stesso articolo introduce la distinzione tra il quorum costitutivo e il quorum deliberativo, prescrivendo che le azioni, per le quali non può essere esercitato il diritto di voto, sono tuttavia computate ai fini della regolare costituzione della assemblea.
Nel condominio, invece, non esiste un fine gestorio autonomo: la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti così come nelle società. La gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è strumentale alla loro utilizzazione e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria.
Tutto ciò si riflette, anzitutto, sul conflitto di interessi, posto che per il sorgere del conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l’interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell’edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro.
Orbene – avuto riguardo alla configurazione tipica dell’istituto, preordinata a tutela dei diritti soggettivi dei singoli partecipanti sulle parti comuni e in considerazione della preminente importanza delle unità immobiliari in proprietà solitaria, rispetto al godimento delle quali la gestione delle parti comuni ha carattere strumentale – le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in tema di gestione in nessun caso possono modificarsi in meno, neppure per contratto. Ciò si ricava con certezza dalla disposizione dettata dall’art. 1138 comma 4 c.c., secondo cui il regolamento contrattuale di condominio in nessun caso può derogare alle norme ivi richiamate, comprese quelle stabilite dall’art. 1136 c.c. concernenti la costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere (Cass., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268).
Premesso, per la verità, che se l’assemblea non può deliberare soccorre la disposizione contenuta nell’art. 1105 comma 4 c.c. – applicabile al condominio in virtù del rinvio fissato dall’art. 1139 c.c. – secondo cui, quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria, in tema di condominio di edifici – tenuto conto che, in caso di conflitto di interessi, al condomino sia vietato esercitare il diritto di voto – non si contempla nessuna ipotesi nelle quali, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno.
La conclusione è che, in ogni caso, nel condominio negli edifici le maggioranze necessarie per approvare le delibere devono ritenersi quelle richieste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio.

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