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giovedì 13 maggio 2010

L’assegno divorzile non è quantificabile sulla base dello stipendio medio di un lavoratore dipendente

Con sentenza del 24 Marzo 2010 , n. 7145, la Cassazione ha chiarito che in base all'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5. Al fine della quantificazione dell'assegno di divorzio, il giudice del merito, pur potendosi avvalere di un raffronto con l'assegno pattuito o giudizialmente fissato nel pregresso regime di separazione, non può e non deve utilizzarlo come parametro vincolante, ma deve attribuirlo e liquidarlo in base ai criteri autonomamente fissati dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, data la diversità delle relative discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei due trattamenti, correlate e diversificate situazioni, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione.
In particolare, la determinazione dell'assegno divorzile va effettuata verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontata ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. L'accertamento del giudice del merito in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi deve essere compiuto, non in astratto, bensì in concreto; pertanto, detto giudice non può basare la propria decisione su un mero apprezzamento probabilistico, non fondato su dati realmente esistenti con riferimento alla specifica fattispecie.
Nella specie la concreta liquidazione dell'assegno e segnatamente la sensibile riduzione dell'importo stabilito in primo grado, risulta illegittimamente disposta dai giudici di merito senza la ponderata e bilaterale considerazione dei criteri di legge, nonché e con riguardo alle condizioni economiche dell'onerato, pur ritenute ottime per il sopravvenuto notevole incremento del suo patrimonio, valorizzando, in prospettiva del tutto astratta ed anche inappagante sul piano della congruenza logica, l'evoluzione negativa della potenzialità produttiva del suo gruppo societario, nonché ancora, in riferimento alle esigenze della beneficiaria, con erroneo riferimento limitativo ad un modello di vita proprio di un qualsiasi lavoratore dipendente, in luogo del pregresso tenore di vita coniugale che, invece, avrebbe dovuto costituire il tetto massimo della misura della contribuzione.

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